Sandro Campani, Il giro del miele, Einaudi 2017 (pp. 243, euro 19,50)
Una storia di famiglie, di amori e disamori, speranze e fallimenti, di destini che si credeva di aver scongiurato e invece negli anni l’hanno avuta vinta.
Una storia come quelle che si sentivano raccontare dai parenti anziani: perché quei due, col bene che si volevano, si sono separati; perché, con la passione che quel tale aveva messo nel suo mestiere ha finito col fare debiti e dover lasciare, e così doversi reinventare un lavoro, sensato – come l’andare in giro a vendere il proprio miele – o strampalato, e distruttivo – com’è il lavoro del buttafuori di discoteche; perché quell’altra, che era tornata al paese e sembrava aver messo la testa a posto, e trovato finalmente un equilibrio, se non la felicità, poi se n’è riandata via…
Tutti perché ai quali per un’intera notte, seduti accanto al fuoco, con una bottiglia di grappa sul tavolo, due uomini, uno giovane e l’altro vecchio, cercano di rispondere. Arrovellandosi il primo, lacerato da un dolore senza requie, divenuto straniero al suo stesso paese; rivolgendo il secondo uno sguardo di comprensione a quel che è successo, uno sguardo venato di rassegnazione ma immune dal rimpianto. Di errori ne ha fatti anche lui, ma è comunque risolto, perché nel posto dove sta ci sta bene, e diversamente dal giovane l’amore per la sua donna l’ha saputo proteggere, e continua a nutrire di senso la sua vita. E’ la sua, quella del più vecchio, la voce narrante, anche se l’altra si prende lo spazio che una storia ingarbugliata, e ancora in cerca di una chiave che non si troverà, richiede.
Parlano, bevono, e la loro vicenda lascia trasparire la vicenda di tutta una comunità in bilico fra un passato perduto, fatto di certezze, di regole condivise, di riti che un senso l’avevano, e un presente di abbandono – siamo nell’Appennino emiliano – di disgregazione sociale, di disorientamento culturale, e morale.
Il racconto va e viene, come la memoria, in un rimando continuo di flashback che chiede impegno al lettore rendendolo però via via partecipe di un ripensamento del passato a tratti ossessivo, sempre più umanamente accorato, inevitabilmente consapevole della propria inutilità.
E fuori, nel buio della notte, la lince (la vediamo occhieggiare dalla copertina del libro): qualcuno l’ha vista, altri solo presentita, ma lei c’è, nessuno ne dubita, e aspetta. Misteriosa come i boschi che circondano il paese, una natura dimenticata e vilipesa e pure forte e imperturbabile, sordamente incombente sul mondo degli uomini, imperscrutabile come l’enigma che sta al cuore di queste vite di donne e uomini comuni. Vite che avrebbero potuto essere diverse, e non si sa cessare di interrogare per sapere perché sono andate come sono andate.