François Jullien, Una seconda vita. Come cominciare a esistere di nuovo, Feltrinelli 2017 (pp. 125, euro 14)
“A fine dell’anno, si vorrebbe credere al Nuovo anno, alla possibilità di un «nuovo inizio»”, “ma sulla base dello sforzo e della volontà non si va oltre l’«auspicio».
Possiamo fissare, magari simbolicamente, la data del nuovo inizio, ma sarà tutto inutile”. Non perché esso non sia possibile, ma perché può avvenire solo se non lo si immagina come una “cesura”: non si tratta di una “partita”, non si può chiedere di rifarsi giocando la “bella”, se si tratta della vita. Si può invece immaginare la “nuova vita” come una “ripresa” di quella finora vissuta: una seconda vita dopo la prima, ma in continuità e insieme in discontinuità con essa.
Che cosa significa? come è possibile? Jullien gira attorno al concetto, a prima vista contraddittorio, ci torna e ci ritorna, e in questo modo riesce a farci intravedere la possibilità. La possibilità, niente meno, che di “dispiegare la vita in esistenza”. Non si tratta di rinnegarla, la propria vita. Si tratta di “non più riperterla ma «riprenderla»”.
Quando? Adesso, perché il vivere, il vivere davvero, l’esistere, non si può rimandare a domani, essendo che “abbiamo una sola vita”.
E riprenderla, la nostra vita? “Ritornando su di essa prendendone le distanze”. E siamo daccapo: un (ri)avvicinamento che deve essere un allontanamento… Ma ecco che l’autore – quasi si rendesse conto della nostra incertezza e d’altra parte non volesse accontentarsi di una adesione generica, di una comprensione puramente formale di quel che dice – ci viene in aiuto, insistendo, spiegando di nuovo, dipanando il discorso in nuove volute: “la seconda vita non può che essere questa vita, ma al tempo stesso deve dissociarsene”. Non sulla base di un – cercato o meno che sia – evento esterno né di una – improbabile, inevitabilmente effimera – conversione, ma a partire da una “decisione silenziosamente maturata”. Di Jullien più che di altri autori si può dire che il libri che ha scritto e scrive sono in realtà un solo libro: è lo Jullien delle Trasformazioni silenziose (Cortina 2010), quello che continuamente affiora in questo che leggiamo: i cambiamenti veri sono quelli che avvengono lentamente, sottotraccia, quasi a nostra insaputa. Così anche quello che ci può portare a una seconda vita rendendocene poco a poco chiare le “configurazioni”, le coordinate. Non che non le si possa cercare, anche in quel che si legge, ma converrà allora dedicarsi alla letteratura, ai romanzi, non alla filosofia, ai saggi (eccezion fatta per questo, è bene sottolineare…).
Occorre starci insomma, nella propria, unica, vita ma, anche, sottrarsi ad essa, in primo luogo da quel bisogno che ha avuto un ruolo portante nella prima vita: il bisogno del riconoscimento, anche nell’amore; il bisogno di “imporsi al mondo e stabilirvi il proprio posto”. Di questo ci si deve, ci si può sbarazzare, quando si comincia ad avvertirne il peso, a sentirlo – solo a tratti, magari – datato. Senza per questo pretendere il cambiamento qui e subito, senza immaginarsi svolte memorabili e risolutive, e senza scandalizzarsi delle ricadute nel trantran solito, mettendo in conto anzi la sua forza (e la nostra inerzia, il nostro umano bisogno di sicurezze). E tuttavia avendo ben presente che quelle che – solo retrospettivamente – consideriamo le scelte della nostra vita, le abbiamo in realtà compiute, per la parte maggiore, alla cieca. Ma non è detto che si debba continuare così, anzi: è in un secondo tempo che “qualcosa di prossimo a una scelta può emergere”. Secondo tempo, seconda vita: in italiano abbiamo solo una parola, che non distingue – come fa invece il francese, con deuxième e second – fra il secondo che sarà seguito da un terzo e il secondo che invece è soltanto il corrispettivo di un primo, ed è finita lì.
Perché è così che avviene: è solo quando si prende atto dell’unicità della propria vita – ma davvero, non in termini astratti, e non occorre essere ormai vecchi (ma certo giova non essere incatenati altri anni al lavoro in conseguenza di un incremento della media statistica della speranza di vita) – è solo quando si guarda in faccia senza tremare la fine, la propria morte, che i segni di una possibile seconda vita, germogliati dentro la prima, non possono essere trascurati una volta emersi, chiedono di ottenere la nostra considerazione, chiedono che intervenga la nostra responsabilità. Chiedono che la trasformazione impercettibile affiorata qua e là, a volte solo aneddoticamente, nei nostri giorni, sia assunta per quel che è: la traccia di un avvio, verso la “riforma” della nostra esistenza.
Le trasformazioni silenziose, ma anche Essere o vivere (segnalato in questi Appunti lo scorso dicembre): se Jullien lo si conosceva già è escluso che si possa confondere questo suo ultimo libro con i vari manuali di saggezza che ingombrano le librerie. Ma occorre anche dire che partire da qui può costituire una scoperta inaspettata, un ottimo inizio per addentrarsi nel pensiero del filosofo francese, per lasciarsene accompagnare: sulle tracce di una seconda vita.