Jonathan Safran Foer, Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi, Guanda 2019 (pp. 320, euro 18)
“La parola è scritta al contrario sul cofano delle ambulanze perché chi guida le possa leggere nello specchietto retrovisore. Si potrebbe dire che è scritta per il futuro – per le macchine che stanno davanti all’ambulanza. Esattamente come chi sta in un’ambulanza non può vedere la parola ambulanza, noi non possiamo leggere la storia che stiamo creando: è scritta al contrario, per essere letta in uno specchietto retrovisore da chi non è ancora nato”.
Sono passaggi come questo a dirci la differenza fra uno dei molti saggi sul cambiamento climatico e questo libro, in cui la voce che si leva a lanciare l’allarme è quella di uno scrittore. Uno scrittore conscio del fatto che il problema è crederci, alla catastrofe annunciata dal riscaldamento del pianeta, e si tratta dunque di uscire dallo stato di negazione che – nella nostra società, la società dell’informazione – si risolve in un non sapere sapendo, in un sapere ma non fare: “Dobbiamo fare qualcosa ci diciamo a vicenda, come se affermarlo fosse sufficiente. Dobbiamo fare qualcosa diciamo a noi stessi, e poi aspettiamo istruzioni che non arrivano. Sappiamo che stiamo scegliendo la nostra stessa fine: solo che non riusciamo a crederci”, immersi come siamo in una generale crisi della capacità di credere che trova alimento in un’informazione strabordante di opinioni che offuscano i fatti, dominata da un presentismo che mina l’idea di futuro.
E allora? Allora occorre che la questione ambientale si carichi di emotività: non si crede in quello che non ci scuote. Ma “Anche le nostre emozioni, come i nostri corpi, hanno dei limiti. E se i nostri limiti emotivi non potessero essere superati?”
Non resta all’autore che riprendere il filo del discorso iniziato con il suo precedente Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? (Guanda 2010), notando che anche nei discorsi più appassionati e documentati sulla questione climatica – il nobel Al Gore non escluso – viene taciuto un aspetto decisivo: “l’impatto dell’allevamento sull’ambiente”. Perché “quando si parla di carne, latticini e uova la gente si mette sulla difensiva. Si infastidisce. A parte i vegani, nessuno muore dalla voglia di affrontare l’argomento, e il fatto che i vegani ne abbiano voglia costituisce un ulteriore disincentivo”. Ma la questione sta proprio qui: comprare un’auto ibrida non è inutile, ma serve soprattutto a “farci sentire meglio. E può essere pericoloso sentirsi meglio quando le cose non vanno meglio”. E dunque, non giriamo intorno al problema: pagine di dati e rilevazioni scientifiche supportano la conclusione che “non possiamo salvare il pianeta se non riduciamo in modo significativo il nostro consumo di prodotti di origine animale”. Non si tratta di eliminarli dalla nostra dieta, si badi: si tratta di ridurne “in modo significativo” il consumo.
È questo il succo del discorso, e nonostante la letteratura ignori la crisi climatica, pena l’esser dequalificata a fantascienza – come ha fatto rilevare Amitav Ghosh con il suo La grande cecità (Neri Pozza 2017) – è il libro di un autore di romanzi a imporlo alla nostra attenzione.
Alla nostra attenzione, appunto: basterà, questo, a farci credere, al punto da indurci a modificare i nostri comportamenti? E se anche fosse, servirebbe davvero, o la crisi è ormai irreversibile? (Come sembrano preconizzare storie come quella narrata da Bruno Arpaia in Qualcosa, là fuori, Guanda 2016). Quel che è certo è che vivere in quello stato di sapere e fare come non si sapesse e dunque non facendo non è vivere pienamente la propria vita. È adeguarsi alla “grande regressione” della nostra civiltà (La grande regressione. Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo a cura di Heinrich Geiselberger, Feltrinelli 2017). È rinunciare a cercare un bandolo nella generale involuzione che ci coinvolge, perché – lo notava Bruno Latour (Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina 2018) – “non si possono comprendere le posizioni politiche assunte da cinquant’anni a questa parte se non si assegna un posto centrale alla questione del clima e della sua negazione”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.