«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore»[1].
La bellezza deve essere accessibile a tutti, deve essere considerata un diritto per tutta l’umanità perché è un mezzo indispensabile per la crescita spirituale dell’uomo, per la sua libertà di coscienza, per la sua presenza nella società e nella storia.
Friedrich Schiller – alla fine del ‘700 – si chiedeva: «Com’è possibile che in questi tempi moderni, con tutte le conoscenze e tutta la tecnologia, siamo ancora dei barbari? Vi deve essere qualcosa nella mente della gente, nel carattere degli esseri umani, che impedisce la ricezione diretta della verità. […] Ogni miglioramento nel dominio della politica può soltanto essere pensato attraverso la nobilitazione del carattere dell’individuo. […E ciò] Può accadere soltanto attraverso il bello artistico».
Egli è convinto che «il buon cittadino si forma nell’educazione alla bellezza e che quest’ultima si può fruire solo in un modo: nell’esercizio del gioco. Per Schiller si tratta di un riferimento metaforico, evidentemente, che allude alla fantasia e all’emozione. La bellezza è un meraviglioso gioco di crescita collettiva che non può essere negato a nessuno» (Irene Boldriga).
La storia ci offre numerosi esempi di come il ricorso alla “bellezza” sia stato chiesto e offerto in momenti oscuri.
Firenze, come tante altre contrade italiane, fu segnata da scontri di potere, lotte intestine, guerre tra fazioni opposte, calamità naturali che fecero numerose vittime… Nel 1373, in cerca di qualcosa che affrancasse, almeno per un po’, da tanta oscurità, un gruppo di cittadini invia ai Priori delle Belle Arti e al Gonfaloniere di Giustizia la richiesta della lettura pubblica della Divina Commedia:
«A favore dei cittadini della città di Firenze che desiderano essere istruiti nel libro di Dante, dal quale, tanto nella fuga dei vizi quanto nell’acquisizione delle virtù, quanto nella bella eloquenza possono anche i non grammatici essere educati […] chiediamo che abbiate la premura di ottenere e di approvare solennemente la scelta di un uomo capace e sapiente, ben istruito nella scienza di questo tipo di poesia, per il tempo che desiderate, ma non maggiore di un anno, perché legga il libro volgarmente chiamato El Dante nella città di Firenze a tutti coloro che vogliono ascoltare, tutti i giorni non festivi, in un ciclo di lezioni continue come di solito avviene in simili circostanze».
Il popolo cercava nella cultura, nel “bello” le risorse interiori per ritrovarsi e riprendersi, per trovare forza, speranza, coraggio del futuro con quella bellezza che riempie coscienza e intelligenza.
Venne scelto il Boccaccio, con la sua voce e cultura fu offerta un’occasione per superare logiche di divisione e di scontro, oltre a dar spazio alla speranza di una storia nuova, basata su valori civico-culturali in cui tutti possono riconoscersi.
L’11 Maggio 1946, da poco conclusa la Seconda Guerra Mondiale, il Teatro alla Scala di Milano riapre con un concerto di Arturo Toscanini; in un’Italia ferita e distrutta, viene percepito come un segno di pace, di rinascita, di ricostruzione.
Milano è in fermento, tantissimi cittadini vi prendono parte, in strada e in teatro. Il giornalista Filippo Sacchi scrisse: «Era gente minuta, gente venuta dai corsi, dalle vie formicolanti che menano alle tipiche porte milanesi, porta Romana, porta Genova, porta Lodovica, porta Venezia. Erano operai, artigiani, piccoli bottegai: tutta la famiglia coi ragazzi, e le donne avevano in braccio bambini che dormivano… Alla fine di ogni pezzo la gente applaudiva».
Questo avvenimento è stato ricordato il 7 dicembre 2020 in occasione di un’inedita Prima della Scala a porte chiuse ma spalancate, ben oltre i seguaci abituali, ad un pubblico vastissimo. La serata ha avuto come titolo un’espressione di Dante quanto mai indovinata: A riveder le stelle. È stata un’operazione innovativa e coraggiosa che ha cercato di rappresentare la grandezza e la bellezza del teatro in tutti i suoi aspetti dal canto alla danza, dalla musica alla poesia, a brani letterari…
Le reazioni sono state contraddittorie. Da una parte, i cultori e conoscitori del mondo della lirica, in gran parte critici verso un “recital” non degno delle tradizioni della Scala; dall’altra, il mondo variegato di coloro che non hanno mai assistito ad una Prima, lontani o conoscitori superficiali di questa realtà, molti hanno dichiarato di aver vissuto un’esperienza emozionante, ammaliati ed entusiasti di una “bellezza” lontana dalla loro consueta percezione e conoscenza.
Al di là di questo, una parola è risuonata ovunque: rinascita. Il regista, Davide Livermone, ricorda che «dall’arte e dalla bellezza dobbiamo ripartire, facendo capire che l’Italia più vera è questa, non quella delle divisioni». E il sovrintendente di Brera, James Bradburne, la definisce «un segno di continuità, di coraggio e di fiducia nell’imprescindibilità della cultura come parte della nostra vita. Non è il momento di lamentarsi dell’assenza, ma di celebrare la presenza e la solidarietà».
L’arte è una cura che può guarire, lenire il dolore e dare sollievo.
A Bergamo, all’ospedale Humanitas Gavazzeni e Castelli in collaborazione con la pinacoteca Accademia Carrara è stato attuato il progetto Opere in parole, sono stati appesi dipinti alle pareti della terapia intensiva, del pronto soccorso, della dialisi e del day hospital oncologico: «L’arte entra nelle degenze toccando a tratti il dolore, a tratti la speranza. Offre il conforto della bellezza di un’immagine e di un racconto che lo interpreta. Genera un nuovo stato emotivo. Va nel profondo del rapporto tra malattia e cura e ne completa il senso» (Gianpietro Bonaldi).
«La nostra missione è migliorare la vita dei pazienti, non solo curare le loro malattie. Ci siamo chiesti come farlo e l’arte di Accademia Carrara è stata la risposta. Opere in Parole dà spazio alle emozioni e alle storie di chi entra in ospedale, come paziente o come professionista. Le storie sono testimonianza della nostra umanità, al di là di mascherine, camici e ruoli che il luogo di cura impone. Le pareti dei nostri ospedali, rivestendosi di arte, sono ‘crollate’ lasciando entrare l’emozione e aprendo ai pazienti spiragli di luce inaspettati» (Giuseppe Fraizzoli).
«L’arte e la bellezza aiutano a riflettere su ciò che c’è di bello nella vita anche all’interno di un ambiente come l’ospedale, spesso associato ad ansia o sofferenza, soprattutto in questo periodo così difficile, con la pandemia a minacciare e modificare ancora la nostra vita di tutti i giorni. Opere in parole ci aiuta a riemergere dal periodo più buio della città di Bergamo, a ricostruire fiducia ed emozioni positive in un luogo che ha conosciuto la più profonda sofferenza: cerchiamo un senso nuovo per quello che è successo negli ultimi mesi, pensiamo che l’arte e la cultura rappresentino il modo migliore di rinascere per la nostra città» (Giorgio Gori).
Ci sono esempi numerosissimi che confermano come la bellezza – sia essa un quadro, una musica, una scultura, un paesaggio naturale, un’opera architettonica – riscatta la presenza di ognuno e diviene un momento essenziale per raggiungere la libertà morale, civile, sociale, agisce sull’animo dell’uomo provocando commozione, illuminando e formando coscienza e conoscenza.
La bellezza deve infiltrarsi ed espandersi nelle nostre società in crisi, non solo per risollevare il morale ma anche per aprire spazi nuovi di consapevolezza circa la responsabilità di ricostruire il proprio paese e la Terra intera sulla base dell’unione e della ragione, della sete di giustizia e del diritto di ogni popolo e individuo a determinare il proprio sviluppo.
Ma non è sempre questo il panorama attuale intorno a noi.
Non solo si ragiona su parametri ben diversi, ma si mettono a tacere le voci – ahimè non così numerose e forti come nella Firenze del ‘300! – che reclamano il diritto alla bellezza contro situazioni difficili che sembrano aprire un baratro di indifferenza, barbarie, ignoranza, impotenza…
La bellezza si dipana nel tempo e nello spazio in mille forme diverse, si differenzia in infiniti rivoli, porta alla luce dimensioni sconosciute, scava coscienze e pensiero…
C’è in ognuno una ricchezza che viene troppo spesso soffocata, lasciata morire di sete, sospesa tra un desiderio, non sempre consapevole, di viverla, avvicinarla, sfiorarla almeno una volta nella vita e l’impossibilità/incapacità di avere occasioni per sperimentarla.
La bellezza!!! è un concetto così sfuggente, imponderabile, indefinibile, a volte addirittura equivoco… ci sono tante definizioni forse tante quante le persone… cosa si può fare? E, soprattutto, a cosa può servire nelle difficoltà dell’esistenza quotidiana?
E nell’emergenza (eterna!!!) che ci è toccato vivere dove possiamo trovare i soldi per rispondere a certe richieste? Ci sono priorità innegabili, indiscutibili… è il vecchio ritornello: “non ci sono alternative”!
Le leggi (di “sicurezza”, si dice!) colpiscono sempre, e per prima cosa, tutto ciò che economicamente conta poco (e su questo ci sarebbe da discutere a lungo), non è abbastanza redditizio, non si riesce a far ben entrare nel circuito domanda/offerta, del valore come merce di scambio e di profitto.
I teatri chiudono, mostre musei archivi biblioteche… procedono a singhiozzo… non importa se le misure di legge sono garantite, non importa se gli “utenti” non sono folle!
Di uno spettacolo teatrale se ne può fare a meno, non cambia niente nella vita, c’è chi non vi ha mai assistito (purtroppo, si dovrebbe aggiungere!) e non è successo nulla; i quadri sono appesi alle pareti dei musei da secoli, incontri culturali non sono indispensabili: non vi bastano quelli della televisione?… certo, vuoi mettere un apericena (contro i quali naturalmente non abbiamo nulla!).
È sempre la stessa logica: i mezzi pubblici sono troppo affollati e quindi motivo di contagio? basta aumentarne il numero, siamo in un paese civile, sappiamo bene cosa è prioritario! O no? forse è meglio risparmiare e, invece di raddoppiare il servizio dimezziamo gli utenti, gli studenti se ne stiano a casa e non ci saranno problemi.
Non ci possono essere soldi per qualsiasi cosa… tutti riconoscono le priorità indiscutibili: le spese militari annue sono aumentate del 6,4% con un incremento di oltre 1,5 miliardi di euro rispetto al 2019 ed hanno superato 26 miliardi di euro su base annua! Non pensate alle nostre missioni umanitarie di pace (sic!) all’estero? e non dimentichiamo gli F35… solo per un’ora di volo occorreranno 40.000 euro!!!
E si cancella, con poche righe di un decreto, il “bello” della scuola, la parte che non si limita a informare, a impartire nozioni e abilità, a preparare persone utili a questo tipo di società! La scuola è contatto e scontro, fatica e risate, amicizia e antipatia, mettersi alla prova, trovare alleati e “complici”, guardarsi negli occhi, aiutarsi, imparare a superare difficoltà, uscirne capaci di pensare, indignarsi, porsi dubbi e tentare soluzioni insieme; il “bello” di ritrovarsi ogni giorno, di dare e ricevere, di crescere in conoscenza e coscienza…
Non sottovalutiamo i grandi problemi legati alla scuola, ma non possiamo neppure ignorare – un esempio tra tanti – chi si reca ogni giorno dinanzi alla propria sede scolastica e, nel fare didattica a distanza, rivendica il diritto di una scuola in presenza!
L’accesso alla bellezza permette di guardare con occhi diversi il mondo, fa uscire dai limiti del proprio modo di sentire, dei propri sentimenti e ci apre agli altri, alla comunità, alla società, alla possibilità di accedere ad un sentire comune basato sull’“armonia”, la convivenza, lo scambio reciproco per una comprensione generale.
«Senza il gusto estetico (nel più ampio significato del termine) sarebbe impossibile cogliere l’armonia, base della comunicazione, impedendo così che l’individuo percepisca la necessità del suo essere-nel-mondo con gli altri, senza comprenderla e, pertanto, senza comprendersi e realizzarsi come tale. Il nostro carattere interpersonale deve condividere non solo gli oggetti e le azioni giuste, ma anche i sentimenti. Senza bellezza vivremmo come in un deserto» (Jacinto Rivera de Rosales).
La bellezza è una dimensione antropologica fondamentale per la realizzazione personale e per lo sviluppo complessivo della società, di conseguenza non può non diventare diritto; è strumento del buen vivir, migliora la qualità della vita di tutti, non deve, quindi, escludere nessuno, soprattutto i più vulnerabili e svantaggiati, i “nessuno” di questa nostra società. Il diritto a un’adeguata “esperienza estetica” diventa così opportunità di realizzazione personale, inclusione e coesione sociale, garanzia di democrazia, sostegno per il presente e speranza di futuro.
«L’arte è la dimensione culturale che maggiormente ci pone nella condizione di ri-conoscere la diversità e di farla nostra, creando lo spazio per accoglierla. Maturare una sensibilità estetica, praticarla nella quotidianità, rende il cittadino maggiormente propenso a uscire dall’autoreferenzialità individuale e culturale». E se l’esperienza dell’arte è un esercizio di bene comune, «l’evoluzione del concetto di bellezza accompagna la storia del rapporto tra uomo e dimensione sociale, l’equilibrio tra singolo e ordine politico, tra l’io e gli altri» (Irene Baldriga).
Imparare a conoscere e riconoscere la bellezza, a costruirla, trasmetterla, difenderla, permette di integrare natura e cultura, intesa nella sua più ampia accezione, apre ad una nuova consapevolezza dell’“essere cittadino” ed offre una visione diversa dei valori civici e sociali.
Guardandoci intorno, sembra, invece, che ci siamo assuefatti alla “bruttezza” che rischia di invadere ogni spazio della nostra vita, frutto del sistema neoliberale-capitalista che, con la sua perversa logica, riduce tutto a un semplice calcolo utilitaristico volto al profitto.
Individualismo, conformismo, cementificazione globale, consumismo, indifferenza, inquinamento, cinismo, guerre, sfruttamento, competizione, calcolo utilitaristico… sono elementi che costituiscono quella bruttezza cui sembra ci siamo rassegnati.
Ma se ci rassegniamo alla bruttezza, perdiamo la nostra umanità, diveniamo semplici numeri, macchine in mano al potere economico. Dobbiamo, ora più che mai, rivendicare il diritto alla bellezza, a pensare e costruire una nuova società, con parametri completamente diversi.
L’accesso alla bellezza diviene una questione di democrazia per una società di persone libere, capaci di pensare ed emozionarsi, dove più nessuno dovrà rassegnarsi alla “bruttezza”, una società dove ciascuno potrà partecipare in maniera autentica, dove l’umanità vinca sulla disumanità, la solidarietà sull’egoismo, il rispetto reciproco sull’intolleranza e il rifiuto.
Si ha la percezione che il passar del tempo lavori a vantaggio di chi è contro tutto ciò che si può racchiudere nella parola bellezza della vita quasi per nascondere il timore (la caduta del muro inizia con piccole crepe) che tutto ciò apra la porta a realtà, pensieri, desideri, dubbi, ricerche non funzionali all’oggi del potere, ma, come il filo d’erba è capace di trovare una via nel cemento per aprirsi al sole, così la bellezza troverà sempre il modo per irrompere sullo scenario della storia personale e comune, per scuotere coscienze, aprire orizzonti inediti, suscitare emozioni che a volte non si sa neppure di possedere.
In proposito è significativo il forte risveglio in Italia, come in tanti altri paesi del mondo, dell‘arte di strada con gli artisti che si sono ripresi spazi e tempi delle città svuotate, delle vie e piazze sgombre da tanta presenza, ma anche in molte zone delle periferie, un’arte più fedele alle sue origini, spontanea, di protesta, di denuncia socio-politica, spesso ritenuta “illegale”. la Street Art sembra aver riacquistato le sue radici più peculiari: «la storia dell’arte che verrà attingerà da queste immagini per raccontare il tempo di oggi» (Dario Pappalardo).
Bellezza è spesso coniugata con “felicità”: ricchezza interiore, profondità di coscienza, capacità di andare oltre il proprio quotidiano, al di là di oscurità e problemi.
Anche realtà che appaiono difficili e complesse vengono colte, possono esser colte, nella loro profondità da tutti, perché la bellezza nel suo impatto iniziale si “sente”, non si analizza, non si spiega, non ha bisogno di essere inquadrata in una ricerca storica… chi scopre la bellezza non sa forse spiegare il perché, ma sente che ha fatto un’esperienza che l’ha cambiato.
Tutti, probabilmente, conserviamo l’immagine dello stupore apertosi negli occhi di persone “semplici” (in un’accezione non proprio positiva), “ignoranti” (nel senso di non sapere)… probabilmente mai letto un libro “impegnato”, mai sfogliata una rivista di un qualche interesse culturale… vederle commuoversi, assorbire con gli occhi (e con il cuore) le scene di un film, le parole di un libro, il suono di una musica considerati “difficili”, lontani dalla loro capacità di capire.
Ricordo due persone “così” dinanzi al Vangelo secondo Matteo di Pasolini, berne con gli occhi ogni espressione, ogni immagine, scoprire per la prima volta frasi che avevano ascoltato fin da bambini… e alla fine, con gli occhi lucidi di commozione, chiedersi – chiederci – “Perché non l’abbiamo mai visto prima? Cosa ancora ci siamo persi? Perché nessuno ci ha mai detto di queste cose? Ce ne darete l’occasione altre volte?”.
Lo stupore di sentirsi parte di qualcosa di bello, di godere di essere entrati in una bellezza da cui erano stati sino a quel momento esclusi.
L’emozione di giovani, adolescenti, bambini dinanzi a un quadro… quando diamo loro il tempo di fermarsi e lasciarsi “penetrare” da colori e segni e non li trasciniamo sala dopo sala di un museo senza dare la possibilità di lasciarsi coinvolgere ed emozionare.
La bellezza è dentro ognuno di noi ma la soffochiamo di ovvietà e la oscuriamo di tecnicismi.
Così i libri letti per obbligo, l’arte presentata in funzione degli esami, le poesie “spiegate”, la musica sminuzzata in suoni, film da cui trarre una “morale”, sculture e architetture imprigionate da parole per inserirle in contesti storici e geografici…
Logicamente tutto ciò è “bello” e utile, ma dopo, quando l’emozione aprirà lo spazio alla conoscenza, alla curiosità culturale, all’approfondimento scientifico… quando si entra nel campo del sapere, ugualmente affascinante, ma ben diverso dal “bello”.
La bellezza è stupore, emozione, sorpresa, meraviglia, pienezza.
«[Ciàula] Aveva paura del bujo vano della notte.
Conosceva quello del giorno, laggiù, intramezzato da sospiri di luce, di là dall’imbuto della scala, per cui saliva tante volte al giorno, con quel suo specioso arrangolio di cornacchia strozzata. Ma il bujo della notte non lo conosceva. […]
Restò ‐ appena sbucato all’aperto ‐ sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle.
Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d’argento.
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… C’era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore»[2].
Renato Piccini
Paola Ginesi
dicembre 2020
[1] Peppino Impastato ucciso dalla mafia a 30 anni – I cento passi,regia di Marco Tullio Giordana, 2000 [2] Luigi Pirandello, Ciàula scopre la luna, in Novelle per un anno – vol. 1, MONDADORI 1985