“Tertium non datur”*


Non avrei mai più voluto scrivere neppure una parola legata in qualche modo a “questa” guerra – scrive Paola Ginesi, della Fondazione Piccini –, ma in un incontro con alcuni amici, una ragazza mi chiese di mettere per scritto, ampliandola un poco, la discussione che era nata per condividere quelle riflessioni con i suoi compagni/e, per spiegare meglio le sue convinzioni e aiutare a riflettere, senza tabù e pregiudizi, su un argomento decisivo per il loro futuro.

Ho l’impressione di trovarmi sul banco degli imputati quando sfioro la geopolitica mondiale che si sta “chiarendo” nella guerra in Ucraina e mi viene voglia di dire con la mano tesa – su cosa: costituzione vangelo dichiarazione dei diritti umani? – “considero la guerra in Ucraina un’invasione di Putin, con tutte le conseguenze che ciò comporta”.

Ed ora, posso, insieme a tantissime altre persone, cercare di capire un po’ della storia meno recente di una zona che pochi conoscono; permettermi qualche perplessità su come il tutto viene gestito; dichiararmi contro la guerra tout court, perché uccide, distrugge, ruba pane e futuro, fa esplodere le peggiori pulsioni?

Posso rivendicare il diritto alla ricerca e alla difesa di tutto ciò che costruisce la pace anche se questo significa seguire, come ci dicono, strade estranee al buon senso comune, perse tra il fumo di inutili sogni e utopie?

Posso dire che tra Pilato che si lava le mani nel sangue di un innocente e chi collauda nuove armi sull’ultimo – in ordine di tempo – campo di guerra non c’è differenza?

Posso dire che sono tutti uguali coloro che esaltano l’eroismo di un popolo, di un esercito e si servono della morte per rafforzare la base del loro consenso politico-elettorale?

Posso dire che, “dentro” o “fuori” che siano, tutti coloro che fanno fallire ogni tentativo per giungere ad un accordo di pace sono responsabili e dovranno renderne conto alla storia?

Storia e memoria della guerra

La guerra è presente in tutto il percorso storico dell’umanità o, per lo meno, nel racconto che se ne fa, dando l’impressione che il cammino dell’uomo sia sovrapponibile prevalentemente a periodi di violenza ed usurpazione.

Tanti storici prendono poco in considerazione la dimensione antropologica dei vari momenti di guerra-pace in una narrazione che tenga conto delle variabili sociali, riconducendola ad un determinato tempo e ad uno specifico spazio geografico, non soltanto per evitare il rischio di manipolare la memoria e quindi il passato, ma per sottolineare le costanti di difesa della vita, presenti ovunque e sempre, che salvaguardano la continuità e il progresso di popoli e paesi.

La guerra è onnipresente nelle narrazioni orali, tramandate di generazione in generazione, inserite nelle difficoltà, nella morte e sofferenze, ma anche negli aneddoti della quotidianità, negli stratagemmi che contribuiscono a superare emergenze e problemi per difendere e riprendere la vita normale.

I momenti “forti” rimangono scritti nell’immaginario collettivo e se ne conserva più a lungo il ricordo appunto perché “eccezionali”, mentre momenti di esistenza quotidiana spesso suscitano meno interesse, però sono i normali gesti di vita a dare continuità alla Terra e all’umanità e devono essere difesi contro ogni progetto di morte.

Robert Musil, in L’uomo senza qualità, scrive: «La somma collettiva delle fatiche spicciole quotidiane mette in circolo una quantità di energia molto superiore a quella che scaturisce da atti di eroismo».

* Condivido il titolo di un articolo di PeaceLink – marzo 2022, che ben sintetizza le diatribe attuali: non è ammessa una terza lettura, non si consente neppure il sogno, il desiderio di vie alternative.

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