Condominio Futura

Dopo Sentieri in città, le nuove storie di Alfredo che, con la sua ironia bonaria, venata di un umorismo spesso involontario, si fa osservatore attento e partecipe  delle vite degli altri che abitano il suo stesso condominio, o che lo abitavano, e hanno lasciato dietro di sé ricordi che alimentano, nel protagonista, riflessioni disincantate.

Sono passati alcuni anni e Alfredo, il pensionato flâneur che abbiamo già conosciuto nei racconti di Sentieri in città, ha limitato le sue passeggiate quotidiane ai dintorni del condominio in cui abita, ma sono proprio gli inquilini degli altri appartamenti e le loro storie a richiamare la sua attenzione e, spesso, a coinvolgerlo in vicende impreviste. Come quella della scrittrice, a lungo anonima, di racconti che – dietro l’ispirazione letteraria che il professore, amico di Alfredo, sa cogliere – mettono in luce le vicissitudini di coppie che non è difficile identificare fra i vicini.

Il condominio, con i suoi abitanti e le loro differenze sociali ed economiche, oltre che etniche, dà così ad Alfredo, e alla moglie Lucia, occasioni molteplici di osservazione sulle vite degli altri, anche di quelli che, dopo aver abitato per anni ai diversi piani del palazzo, hanno lasciato dietro di sé ricordi che alimentano, nel protagonista, riflessioni disincantate, il più delle volte perplesse, ma sempre partecipi, e allo stesso tempo gli offrono spunto per nuovi racconti. Fino a giungere a quello finale, in cui il nome del condominio sembra per un momento prefigurare un diverso modo di abitare le case e possibilità inedite di vivere la città.

Quelle che seguono sono alcune pagine tratte dal romanzo:

“Uscire, la mattina, esco ancora. Tutti i giorni. Ho sempre fatto così, quando andavo a scuola, poi quando non avevo lavoro, appena finito l’istituto tecnico, e poi tutti gli anni che ho lavorato. Operaio al verde pubblico, col Comune. E adesso che potrei stare a casa, la mattina, perché sono in pensione, come la moglie, che faceva l’infermiera, cioè: la OSS, operatrice sociosanitaria, che poi andava a finire che le facevano fare l’infermiera. E difatti ancora adesso quando c’è bisogno di una puntura è lei che va a farla, qui, nel nostro condominio. E mica solo quello, prima di chiamare il pronto soccorso, se uno sta male, chiamano lei, la Lucia. Che perciò conosce tutti, a tutti i piani.

Io invece, per un bel po’, buongiorno buongiorno, neanche li conoscevo quelli che abitano qui.

Poi, non so com’è stata, un insieme di cose, insomma adesso fuori vado fuori, ma resto qui nei dintorni, faccio qualche lavoretto, se occorre, nel condominio, perché io le mani le so usare e ho ancora tutti i miei attrezzi: idraulico falegname elettricista… Piccole cose ma so fare un po’ di tutto. E allora mi vedo di più con gli altri che stanno qui e quasi quasi li conosco tutti, adesso. Tutti tutti no perché quelli dell’ottavo piano vanno e vengono che è un piacere, cioè: per loro mica tanto. Sono stranieri che vengono da tutte le parti e il lavoro o non ce l’hanno e allora lo cercano e se lo trovano vanno dove l’hanno trovato, o hanno il lavoro, ma di quei lavori che van fuori così presto e tornano così tardi che nessuno li vede. (…)

Cammino qui nelle vie vicine, che sono dei viali se vogliamo (…). E comunque, ’ste vie piene di piante sono l’ideale per l’Argo, il mio cane, che non ne manca una, ne ha un goccio per tutte.

(…) E be’, insomma, faccio mattina e sera di quelle camminate con l’Argo che è come se andassi dall’altra parte della città anche se non vado più lontano di due o trecento metri da casa, e lo stesso fa la tipa che è venuta da un po’ di tempo a abitare qui, nel nostro condominio, al quinto. Una tipa che le prime volte che la vedevo non sapevo cosa dire perché… Non è mica tanto giovane, un quaranta quarantadue glieli dai, però… Alta, vestita sempre che vedi… Vedi come è fatta, insomma. E poi i capelli, fa la coda delle volte, delle altre se li tira su, o li lascia liberi che le arrivano fino al… Che è bello alto, ancora sodo, si vede. E insomma, i primi tempi no, ma adesso, sarà un anno o poco di più, gira anche lei col suo cagnone, un filo più alto del mio, ma più o meno la stessa taglia. Sono stati loro, i due cani, a farci conoscere, succede sempre così: quanti anni ha il suo, il mio invece, e che razza è, e è buono coi bambini ma gli altri cani guai e invece il mio tutto il contrario, e quante volte al giorno lo porta fuori eccetera. Mettici poi che come si sono visti, fin dalla prima volta, io di qui lei di là dalla strada, si sono messi a tirare tutt’e due che sembrava si conoscessero già, loro. Si vogliono d’un bene che non smettono più di farsi i complimenti, annusa di qui e annusa di là. Invece io… fatte quelle due parole sul cane, non mi viene più niente da dire. Sempre stato così io con quelle belle. Mai combinato niente perché prima non parlo, poi, siccome non parlo, vado via. Ma non è che con questa qui… Figuriamoci, avrà trent’anni meno di me, e poi, figuriamoci se mi vengono in mente robe del genere. Mai stato, io, uno di quelli che corrono dietro a tutte. Figuriamoci.”


“Non me l’aspettavo così, quando la Lucia gli ha aperto.
Chissà perché l’avevo immaginato piccolotto, un po’ di pancia, calvo, di mezza età, vestito in qualche modo… Tutto il contrario: trent’anni al massimo, palestrato, belloccio, vestito come quelli che si incontrano negli uffici delle banche. Cravatta, scarpe a punta lucide, giaccone di pelle.
Ma questo cosa cambiava? Niente. Avevo accontentato Lucia, finita lì: se questo aveva l’aria di uno bravo a intortare le signore non cambiava niente. Gli avevo fissato io l’appuntamento. Non volevo che ’sto tizio venisse quando la moglie era da sola, volevo star lì intanto che diceva quello che aveva da dire. Ascoltare, nient’altro. Ascoltare senza fare domande, lasciare che fosse la Lucia a parlare, e poi alla fine: grazie, è stato un piacere, e lo mettevamo gentilmente alla porta. E di filtri per il rubinetto non si parlava più.
Un articolo in una di quelle riviste sulla casa, i segreti per star bene eccetera: non sapevo dove la moglie l’avesse letto, ma non aveva più smesso di parlarne: lo sai quanti batteri ci sono nell’acqua potabile?
Più o meno lo stesso numero che sono gli acari nei cuscini del letto, le avevo risposto, perché lo ricordavo bene quell’affare che aveva voluto comprare un paio d’anni prima per igienizzare cuscini, materassi, poltrone, tappeti. Urlava, quell’affare, quando lo accendeva, grugniva quando lo passava sulle cose da igienizzare, e poi, quando lo spegneva faceva una specie di respiro, prima di tacere, e si lasciava staccare il serbatoio dell’acqua, con su due dita di peli, fili, ciuffi neri e grigi: visto quanta porcheria che c’era? Sembrava che fosse quell’affare a dirlo, con la voce della Lucia.
Anche quello era arrivato in casa dopo la visita di uno di questi qui, venditori porta a porta. Ma stavolta non andava mica così, sicuro. E la moglie si sarebbe messa il cuore in pace che l’acqua potevamo continuare a berla come veniva fuori dal rubinetto.
L’Argo, come al solito, si è messo a annusarlo e a fargli le feste. Non smetteva di fiutare la sua valigetta. Una ventiquattrore, ma più grossa. Il doppio almeno. Non so se si dica quarantottore.
Argo fai il bravo, ha detto la Lucia, e ha fatto per prenderlo per il collare ma aveva le mani impedite dal giaccone che aveva detto all’uomo di togliersi.
Ma no signora, è simpatico. Deve aver sentito l’odore del mio cane: è vero piccolo?
Piccolo… L’Argo è un cane lupo di trentacinque chili. Piccolo. Cominciava male. Come si fa a dire una cosa del genere davanti a un cane che sembra un vitello? Buono neh, ma grosso è grosso.
E comunque. L’ho fatto andare in camera e ho chiuso la porta, volevo che la cosa non durasse tanto.
Quello ha cominciato da accadueó, il ciclo delle nuvole e della pioggia e via che sembrava le previsioni del tempo.
Facevo fatica a tacere, ma non volevo fargli fretta. La Lucia ascoltava che sembrava che non le aveva mai sentite quelle cose lì.
Quando ha detto che però il ciclo stava cambiando per via del clima e del riscaldamento mi ha guardato dritto negli occhi: voleva vedere se avevo capito, e se dicendo quella cosa del clima era riuscito a tirarmi dentro. Doveva essersi accorto che la faccenda dell’ambiente, nelle famiglie, di solito interessava all’uomo.
Non ho fatto una piega.
Dopo un buon quarto d’ora di discorsi ha aperto la sua valigetta, la moglie gliel’aveva fatta appoggiare sul tavolo della cucina, e ci ha fatto vedere una scatola trasparente, di plexiglas, che sembrava che aveva tirato fuori il calice con dentro le ostie. Invece dentro c’era solo una specie di prolunga del rubinetto, ne avevamo avuta una così una volta, rompigetto si chiamava: l’ho capito subito che era una roba del genere ancora prima che la tirasse fuori e cominciasse un altro discorso. Chimica pura stavolta: sabbie filtranti, carboni attivi… Tutte parole che si sentono anche nella pubblicità della tele.
Un altro quarto d’ora buono.
In quella l’Argo, che era riuscito a aprirsi la porta della camera, gli è piombato addosso: le zampe sul petto. Lui non se l’aspettava: il coso che aveva in mano gli è schizzato dalle mani e è arrivato a due metri. È caduto sul pavimento e è rimbalzato. Doveva esser fatto di una roba tipo gomma. Gliel’ha raccolto la Lucia. Lui l’ha guardato per un po’ anche dentro, se l’è messo davanti all’occhio come un cannocchiale. Non si era fatto niente. Era la stessa prolunga di prima, tale e quale.”


“E insomma delle volte penso: di chi sono le case?

Uno la compra e crede che sia sua, la casa. Prima era di un altro, la nostra per esempio era del Botti, che vendeva gli appartamenti, l’aveva fatto per quello il condominio. La sua, il Botti l’aveva lasciata ai tre figli, come farà di sicuro anche la signora Adele: le cose una per una a questo o a quell’altro figlio e la casa a tutt’e tre insieme, e andrà a finire come è successo al Botti: i figli nessuno voleva la casa anche perché avrebbe dovuto comprare dagli altri la loro parte, e allora hanno venduto per dividersi i soldi e la casa è diventata di uno che con la famiglia non aveva niente a che fare.

Poi ci sono delle volte che penso che uno muore davvero mica quando smette di respirare ma quando lo portano giù dalle scale, se è morto in casa, se no quando l’hanno portato all’ospedale ma non si sapeva che era l’ultima volta che usciva da casa sua. Ma muore di nuovo, ancora di più… non so come dire, quando gli portano via tutte le sue cose dalla casa dove stava. Ma morire proprio del tutto forse muore solo quando la sua casa diventa di qualcun altro. Perciò, dico io, non è mica il dottore, o il prete, a dire che uno è proprio morto: è il notaio.

Certi giorni che ho dimenticato le chiavi e devo suonare il campanello alla Lucia, intanto che sono lì leggo i nomi, e mi vengono in mente quelli che c’erano scritti una volta, che a chiedere nessuno si ricorderebbe più niente. Come se non avessero mai abitato qui, uguale. Me li ricordo io perché ormai, dopo che è andato anche il Manfredi, sono il più vecchio del condominio. A parte la signora Adele che ha tre anni di più di me. Ma lei è una donna: per le donne è diverso diventare vecchi… E lei poi, mica sa bene che età ha, adesso che è un po’ via di testa…

Ma dicevo, lasciamo stare quelli che non ci sono più perché sono andati via, hanno cambiato casa, tipo quelli dell’ottavo che è un continuo andare e venire. No, intendo quelli che non ci sono più perché proprio non ci sono più, né qui né da un’altra parte. Il Botti dicevo, stava dove stanno i dottori adesso: anche lui aveva due appartamenti. O la Brugnoli, che stava al primo, perché allora il sindacato non aveva ancora preso tutto il piano, col suo Dog, un cane lupo, vecchio, un po’ bavoso: buonissimo ma con quel difetto lì che avevi schifo a fargli una carezza. Poi la Filippi, su al sesto: un giorno mi è capitato di passare davanti alla sua porta, non so, andavo su in terrazza forse, non mi ricordo, e mi è sembrato di sentire miagolare, e mi è venuto in mente il gattino che aveva e che una volta era caduto giù nel buco dello sporco, perché allora, quando sono venuto a stare qui coi miei, lo sporco non si portava giù. Lo si buttava in un buco con lo sportello, ogni piano aveva il suo, e arrivava dritto a un bidone grande che stava dove ci sono adesso i carrellati. E ’sto gattino non si era mica infilato in uno di quei buchi lì? e noi bambini, che giocavamo in cortile, l’avevamo sentito a miagolare, perché aveva fatto sei piani ma era ancora vivo, e così si era salvato.

Be’, non sarà mica bello, ma a me mi si è stretto il cuore di più a pensare a quel gattino lì che alla sua padrona, che non era mica antipatica ma insomma.”


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Recensioni

Dal Corriere della Sera (Brescia) dell’8 novembre 2022
Le istruzioni di vita del pensionato Alfredo
di Massimo Tedeschi

Il pensionato Alfredo è sempre vivo, conserva il suo sguardo semplice e acuto sul mondo e sulla vita. In questi cinque anni però il passo è diventato incerto, le passeggiate più brevi, e così il suo narrare – a metà fra il soliloquio e il diario di bordo – si concentra sempre più su quel microcosmo che è il condominio di residenza con i suoi abitanti. Carlo Simoni concede il bis, o meglio il sequel, ai toccanti racconti intitolati «Sentieri in città» e al suo protagonista, l’ex giardiniere comunale Alfredo con la moglie Lucia.
La nuova puntata si intitola «Condominio Futura» e l’orizzonte della voce narrante si restringe. In una città che è Brescia ma non viene citata come tale, in una strada che assomiglia tanto a via Vantini, fra le fabbriche dismesse e un centro commerciale in declino che si chiama «Cerchio blu» (ogni riferimento al Freccia rossa non è puramente casuale) Alfredo passa le sue giornate fra un incontro occasionale con i vicini e un colloquio voluto e ricercato. Nei brevi capitoli sfilano il professore e la vedova, l’americana e il bimbo Manuele con la madre-ragazza Gigliola con un corteo di residenti passati e presenti del grande edificio. Se nei «Sentieri in città» il nume tutelare era Calvino — un po’ Marcovaldo e un po’ Le città invisibili — qui domina fin dall’esergo Georges Perec con la sua «Vita, istruzioni per l’uso». Sotto sotto vengono a galla anche altri miti fondativi, come l’Hitchcock de «La finestra sul cortile», con un po’ di voyeurismo e certe delicate storie che durano una vita intrecciate fra una finestra e l’altra, da un lato all’altro del cortile.
Nel racconto di Simoni il Condominio Futura assume sembianze labirintiche e perfino gotiche, con anime morte che si affacciano ad intermittenza su Google street view, clandestini a bordo che dividono i loro giorni fra una cantina e un attico sovraffollato. Nei racconti si insinua anche un piccolo giallo letterario, per via di misteriosi quadernetti che si affacciano nella «Condoteca», una bibliotechina di condominio che serve ad alleggerire il carico di volumi della biblioteca domestica del professore e a mettere in circolo buone letture. Fra queste appaiono racconti che i condòmini si contendono, perché fra le loro pagine riconoscono se stessi e i vicini, e chi sia l’autore dei quaderni è un mistero che verrà svelato solo alla fine. Le file degli abitanti originari del condominio si diradano, il loro posto viene preso da lontani parenti o più spesso da immigrati carichi di figli. Sono loro, i bambini convenuti da ogni parte del mondo, che salveranno il condominio e, forse, la città, o almeno un’idea di futuro che loro dipingono fra animali esotici e schiere di condomini. Non mancano «istruzioni per l’uso» per la vita di chi si inoltra negli anni come Alfredo.
«Forse — osserva il pensionato-filosofo — l’importante è non pensarlo tutto insieme il tempo, perché allora sembra che a contare è solo la fine. Certi giorni mi capita. I giorni che c’è nuvolo, li chiamo. Poi passa, e ricomincio a vederlo un po’ per volta il tempo che ho, mica solo giorno per giorno, mattina per mattina, pomeriggio per pomeriggio… Uno dietro l’altro, uguali, però diversi anche, perché quello che viene non c’era mai stato, prima». Una bussola rasserenante fra le scale, i balconi e i pianerottoli del condominiovita. Al prossimo sequel, Alfredo-Carlo…


Alfredo, custode della condominialità di esistenze parallele e insignificanti
di Marco V. Burder, per Secondorizzonte

Questa nuova, ulteriore collezione di storie ha come sotteso la vita, i personaggi, i segreti intimi e le memorie di un condominio. Ma il sotteso più esplicito e quasi costante è il tipo di linguaggio con cui questo microcosmo si mette in scena: un linguaggio che è alfrediano, quotidiano, curioso e modesto, non privo di spirito, e battagliero, anche ostinato, ma sempre disponibile a comprendere il proprio destino attraverso quello degli altri, accettando finaliter quello che c’è, quel che viene di volta in volta, dato che anche un giorno ordinario è capace di colmare la voragine del tempo. E non si tratta soltanto di accettare quel che cade sulla giornata in corso, come il cielo la manda: talvolta la voce di Alfredo (che è un Simoni basilare, senza gli studi e le letture compiuti, propri invece del Professore, ma con un sentimento costante di serena adesione persino ai momenti di pioggia interiore), ecco la voce di Alfredo si addentra in piccole avventure del quotidiano, però con grandi risultati per la sua esistenza di pensionato, e per la resa del testo che lo racconta. Partecipa persino alla realizzazione della “condoteca” e stimola con opportuni supporti la produzione di un murale cartaceo, effimero e però glorioso, istruttivo per l’utopica città che indica, quella che nel precedente libro di Alfredo (Sentieri in città) poteva intuirsi quale “città felice” dell’esergo calviniano. Ogni tanto il linguaggio si impenna e vorrebbe secondare Carver, o Čechov, intrufolandosi nelle vite di coppie con l’espediente del racconto nel racconto. Ma non è uno scarto verbale di gran peso: la vita del condominio trascorre dagli alfredismi ai carverismi senza suscitare inciampo. E così il tutto si tiene in una sorta di enciclopedia del vivere comune, attenta ai sentimenti e alle delusioni umane molto più che agli oggetti e agli arredi (com’è nel grandioso, ma freddo, affresco condominiale di Perec).

Se dovessi esprimere delle preferenze (e perché poi? Solo per far torto a un episodio a favore di un altro, quando sono tutti in reciprocità d’ispirazione? Ma no: per una semplice sintonia percepita o per una maggior partecipazione personale) ebbene, il mio plauso maggiore, ovvero la mia identificazione di lettore, propende per i brani: Condoteca, Coppie 1, Elefantini e tucani, Coppie 3, Nero al ponte, Città futura.
E poiché si cita Carver nel sottofondo, mi è venuto in mente un suo racconto che si intitola Elefante, nel quale uno dei soliti protagonisti dell’americano si estenua per sostenere vari familiari in dissesto, tutti dipendenti per qualche verso da lui; egli, infine, ricorda il sollievo di quando, da bambino, suo padre lo issava sulle spalle ed egli si sentiva al sicuro, a cavallo del proprio “elefante” paterno. Anche qui, il personaggio di Alfredo, in complicità col Professore (altra controfigura di un pezzo dell’autore Simoni, il professor Bastiani, come la fortezza di Buzzati), mi pare essere una sorta di “elefante” per tutti i personaggi presenti e assenti, vivi o defunti, dell’universo condominiale. Alfredo se li porta sulle sue spalle verbali per salvarli dall’anonimato abitudinario, dall’inutilità esistenziale, dalla condominialità di esistenze parallele e insignificanti. La voce di Alfredo è l’elefante che gli dà la dignità leggendaria, quella che solo la letteratura, quand’anche abbia scelto la via della parola “bassa” e gergale, può conferire alla “robaccia” e alla spazzatura, oltre che alle minuscole vicissitudini della vita che la storia vorrebbe ignorare.


da Bresciaoggi 4 gennaio 2023
Simoni, l’arte letteraria della varietà
di Magda Biglia

Quello che stupisce in Carlo Simoni è la grande varietà di ambienti letterari che sa visitare, dalla confidenza con celebri scrittori o artisti alle vite intime di tutti noi, fino all’autobiografismo, nei luoghi che conosciamo o in quelli abbiamo imparato dalle pagine poetiche, in quelli che sogniamo. Ed è anche la padronanza di registri e di linguaggi che spazia dall’elegante ottocentesco al quotidiano da suburbio, sempre perfetti nella loro cornice, a cui affida il compito di dare colore e intensità di volta in volta ai contesti in una sorta di perpetuo divertissement. Dai saggi ai romanzi, ai racconti, ai racconti che si sommano a romanzo, e dentro ci sta pure il racconto nel racconto. Come nell’ultimo libro “Condominio Futura”, Liberedizioni, in cui ritorna il pensionato Alfredo di “Sentieri in città”, curiosone delle esistenze altrui che inanella una serie di episodi di per sé autonomi ma che messi insieme ci danno un delizioso affresco del condominio, spaccato della società, con gli abitanti che non ci sono più, con gli abitanti dell’oggi che si incrociano, che su e giù per quelle scale trascinano i loro giorni, un po’ soli, un po’ comunità. Lo sguardo di Alfredo li pennella concreti e riporta le loro storie, con precisione eppur con ingenua nonchalance, ti sembra di vederli; le ore gli passano così, lui non è di “quelli che han paura della pensione”. Pare quasi un comico di Zelig certe volte con i suoi personaggi, lascia però trapelare con delicatezza sottintesi giudizi e opinioni, qualche illusoria speranza. Li deve, quasi come un compito descrivere lui, “perché noi siamo incapaci di vederci da fuori”. Ma c’è anche una scrittrice che gli dà una mano con una fila di ‘pizzini’, di cui Alfredo, l’amico professore, l’arguta moglie che sa tutto di tutti devono sfidare l’anonimato. Ci sono i libri, così preziosi che non si possono nemmeno perdere, c’è l’idea tenerissima della condoteca, scaffaletto a piano terra dove mettere e prendere i libri. Ci sono gli immancabili riferimenti alla letteratura eterna, Carver se qui è minimalismo, Cechov se pensiamo alla tragica banalità dell’essere, il sempre amato Calvino se l’ottica è l’ironia: ci ricordano che leggere ma anche scrivere è la cosa più bella del mondo per il prolifico Simoni. La quotidianità della gente c’è tutta, il bianco al bar, il pranzo della domenica, i cani e i gatti, l’ascensore che si rompe, l’inquilino ‘extracomunitario’, i suoni delle tv che si sovrappongono col telecomando ben saldo in mano maschile, gli odori del desco di mezzogiorno in pacca. C’è la Brescia con i pregi e i difetti. In centro le banche, i negozi di intimo, poi il Castello, i viali degli alberi con le ‘ippocastagne’, le edicole desaparecidas. Tutto ci fa sorridere, amaramente o no, questa è la vita bellezza.


Da Giornale di Brescia dell’8 gennaio 2023
Nel «Condominio Futura» una trama di relazioni e sentimenti
di Nicola Rocchi
(clicca sull’immagine per ingrandirla)


Quando sono gli altri a vederci per ciò che siamo. Condominio Futura è il nuovo libro di racconti firmato Carlo Simoni
di Francesca Scotti – “Brescia si legge” 7 marzo 2023

21 racconti brevi che equivalgono ad altrettante disincantate rappresentazioni della vita di gente comune. 21 istantanee colorate da dialoghi e riflessioni, composte con un linguaggio asciutto e vicino alla parlata colloquiale. 21 storie raccontate da un unico narratore che, lasciandosi ispirare dalle vite di chi abita nel suo stesso condominio, arriva a snocciolare dissertazioni sull’esistere, sul tempo, sulle relazioni. Condominio Futura, pubblicato nel 2022 da LiberEdizioni in collaborazione con il progetto letterario Secondorizzonte, è il nuovo libro del prolifico e apprezzato saggista e narratore bresciano Carlo Simoni con protagonista Alfredo, immaginario pensionato flâneur già comparso nei precedenti racconti di “Sentieri in città”.

Mentre porta a spasso il cane o butta la spazzatura, dopo un aperitivo con la moglie Lucia o un’ispezione in cantina, Alfredo s’imbatte nelle esistenze degli altri inquilini del condominio Futura e di racconto in racconto rimane coinvolto in esperienze inaspettate che suscitano in lui pensieri ed epifanie, mentre cerca di mantenersi in equilibrio fra il capire la vita nelle sue molteplici manifestazioni e la necessità di viverla.

L’ultima opera di Simoni è in tutto e per tutto un testo di “narrativa condominiale” in cui l’odierna società è emblematizzata da una palazzina a molti piani che mescola storie, solitudini, classi sociali, culture e punti di vista. Attraverso le micro-narrazioni di Alfredo, le vite degli inquilini si intersecano, si specchiano e dialogano, presentandosi ai lettori rielaborate dalle mente curiosa di un narratore schietto e ironico, a ogni modo partecipe delle vicende umane che lo toccano e trasformano.

Vedove, pensionati e solitari, amanti platonici che si danno appuntamento al balcone, coppie mal assortite, intagliatori di legno e bambini timidi che fanno sentire la propria voce con disegni lasciati cadere per la tromba delle scale. È solo un assaggio del campionario esistenziale del condominio Futura, immaginaria palazzina implicitamente ambientata a Brescia e in parte ispirata a una delle passate residenze dell’autore. Il Futura è lo stadio degli incontri di Alfredo, delle sue conversazioni e delle sue impressioni. È il teatro della vita, con le sue normalità e atrofie, con le sue ammaccature e la sua ripetitività.

Fra gli inquilini, c’è anche una famiglia che ha ormai la casa stipata di libri e che, per recuperare spazio, decide di riallocare i molti tomi in una biblioteca condominiale da allestire nell’atrio di ingresso. Nasce così la «condoteca» del condominio Futura, dove non tardano a comparire storie inedite dalla penna di qualcuno che preferisce mantenersi nell’anonimato. Un espediente, quest’ultimo, che genera una narrazione nella narrazione, in un gioco di specchi che coinvolge la vita vissuta, la vita immaginata e quella scritta. Immergendosi negli scritti anonimi, Alfredo ragiona sulla sostanza della vita di coppia e sulle dinamiche dei legami interpersonali che animano il condominio. Cerca inoltre ovviamente di scoprire quale degli inquilini o delle inquiline si nasconda fra le righe di tali scritti e, nel dipanare il mistero, viene aiutato da un professore, suo amico e privilegiato interlocutore.
«Sono gli altri a vederci per quel che siamo»

Alfredo arriva a conoscersi veramente solo quando sono altri a raccontare di lui, ovvero quando ritrova la sua persona e la sua vita negli scritti anonimi della condoteca. Prima di ciò, fatica a riconoscersi nei giorni incasellati gli uni negli altri, apparentemente uguali e invece dotati ognuno di una propria unicità. Ci troviamo di fronte a un personaggio che impara a leggersi guardandosi con occhi altrui, ma anche all’escamotage letterario di un autore che ragiona sull’atto stesso dello scrivere, sulla capacità di una simile arte di mettere a nudo la vita e al contempo di vestirla realmente, con verità essenziali che il più delle volte, presi dal viluppo dell’esistenza, non riusciamo a cogliere.

I quadri dipinti da Alfredo in Condominio Futura non nascono dall’osservare per il puro piacere di estraniarsi da sé curiosando morbosamente nelle manie dei propri simili, ma piuttosto dallo scoprire la vita nel suo farsi, di attimo in attimo, attraverso le colluttazioni e gli incroci con quelle degli altri, che si attuano con conversazioni fluttuanti fra un piano e l’altro, bisticci, incomprensioni e illuminazioni ricavate da letture inattese.


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