I libri bruciano male

«Che cosa sono l’uomo o la donna
la cui unica arma sono le parole?
Cosa c’è in queste parole da renderle così pericolose
che alcuni degli uomini più potenti della Terra,
con esercito, armi e persino armi nucleari,
non possono vivere in sicurezza sapendo che
queste persone, costoro – gli scrittori – esistono?»
Azar Nafisi

È difficile bruciare un libro, questa la constatazione da cui parte Paola Ginesi, della Fondazione Piccini: nel fumo acre “l’odore lugubre e triste delle cose che non vogliono bruciare”1, contorcimenti dolorosi, le pagine sembrano difendersi compattandosi, alcune volano in alto quasi per sfuggire ad un destino di morte etica, culturale, di vita, di bellezza, di sapere… prima ancora che materiale.

Un libro bruciato è il tentativo di cancellare un qualcosa esistito per anni, per secoli, per la paura del pensiero, della coscienza, della ragione, della forza dei diritti perché si sa bene che «conoscere il mondo è connesso al volerlo cambiare» (Aldo Capitini).

In Fahrenheit 451 i “vigili del fuoco”, “custodi della pace spirituale” della popolazione, inneggiano: “il libro è un fucile carico nella casa del tuo vicino: diamolo alle fiamme!”.

Però, se i libri bruciano male, ancor più difficile è bruciare il pensiero, la ragione, la bellezza, la coscienza, il sapere, il dubbio, la consapevolezza.

Ai Wei Wei, noto artista cinese in esilio – figlio di Ai Qing, uno dei più grandi poeti rivoluzionari della Cina – nelle memorie della sua famiglia2, scrive come, per evitare prigione o condanna a morte, insieme a suo padre decisero di bruciare tutti i libri di casa. In mezzo al silenzio e al dolore, quasi fisico, Ai afferma che si sentì crescere dentro una forza incrollabile: «il senso “inflessibile” della bellezza».

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Titolo: Manuel Rivas, Los libros arden mal, Alfaguara 2006
[1] Idem
[2] Ai Wei Wei, Mille anni di gioia e dolori, Feltrinelli 2023

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