Philippe Ariès, Interrogare la storia. Pagine ritrovate, Marietti 1820, 2021 (pp. 110, euro 9)
Nel 1968 abbiamo potuto leggere Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, dieci anni dopo Storia della morte in Occidente: Ariès è stato una delle voci emblematiche della “nuova storia”, il pioniere della storia delle mentalità che ci ha spiegato come ciò che sembra attraversare indenne i secoli non è in realtà sempre stato come lo conosciamo. Né il modo di rapportarsi ai bambini né quello di concepire la morte. Senonché, ci spiega Gabriella Airaldi nella sua introduzione, Ariès fu uno storico “molto lontano dal mondo delle “Annales”: “un ricercatore libero, un po’ anarchico, come ogni ricercatore dovrebbe essere”, per usare le sue stesse parole; oltre tutto conservatore per tradizione familiare e convinzione personale. Ma attenzione: tradizionalista perché non disposto “ad accordare i valori e le norme di un modo di vita allo sviluppo delle razionalità tecniche” (è Foucault in questo caso a parlare, in uno degli interventi contenuti in un altro recente libro della stessa Marietti 1820 che raccoglie scritti del pensatore francese, Discipline, poteri, verità), capace quindi di vedere quanta parte nei discorsi del Sessantotto avessero “i miti e le immagini del mondo perduto dei nostri antenati”, quale ruolo giocassero temi “passati dall’estrema destra reazionaria e ancora un po’ tradizionalista a una estrema sinistra nuova”.
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