Leonardo, Amore ogni cosa vince. Segreti di vita e bellezza, Interlinea 2019 (pp. 64, euro 10)
Spesso, e con qualche ragione, ci si guarda dagli anniversari e dalle celebrazioni. Conoscendo per esperienza il valore del tutto effimero di gran parte di ciò che in queste occasioni si dice e si pubblica, si preferisce lasciarne decantare quel che non è mera ripetizione, luogo comune, agiografia.
Il cinquecentenario della morte di Leonardo non fa eccezione, ma è tuttavia possibile distinguere, nel mare di saggi e di romanzi usciti in questi ultimi mesi, alcune pubblicazioni che si sbaglierebbe a trascurare per le loro dimensioni contenute. Di queste, la raccolta di pensieri curata da Gino Ruozzi, massimo studioso italiano della letteratura aforistica, “una letteratura marginale perché poco attraente e ammiccante”, ha avuto occasione di scrivere lo stesso Ruozzi, ma che in realtà “ci invita non al sogno, ma al confronto con noi stessi e la società in cui viviamo”. E a questo confronto, appunto, le pagine di Amore ogni cosa vince invitano chi, come noi, è chiamato a misurarsi con la vecchiaia secondo prospettive diverse dal passato, imposte dall’invecchiamento della popolazione e dalla tendenziale rimozione non solo della fine ma ormai anche dell’inevitabile declino della vita nella sua ultima stagione. Senonché, leggiamo in uno dei primi pensieri che il libro riporta, “A torto si lamentan li omini della fuga del tempo, incolpando quello di troppa velocità, non s’accorgendo quello esser di bastevole transito”. A torto perché, a ben vedere, “molte cose passate di molti anni parranno propinque e vicine al presente”, e quel che conta è allora la qualità di quelle cose, una qualità “che ristori il danno della tua vecchiezza, overo che trastulli la tua vecchiezza”. È insomma il genere di vita che si è fatto a stabilire quello della propria morte: “Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire” e, in conclusione, “La vita bene spesa lunga è”.
Ma anche altri di questi pensieri rimandano all’oggi: il primato della “sperienzia” contro la semplice citazione, la superiorità degli “inventori” rispetto ai “recitatori” possono richiamare la sudditanza e la credulità oggi dilaganti di fronte all’invasività delle informazioni indiscriminate se non false di cui, grazie alla rete ma non solo, siamo vittima (ogni epoca ha quel che si merita: le autorità del passato, un tempo; i makers il più delle volte irrintracciabili di news e fake news, oggi). Così come all’attuale discredito da cui sono investite le competenze e alla disinvolta condotta di non pochi reggitori della cosa pubblica fan pensare le parole che Leonardo dedicava a “quelli che usano la pratica senza scienzia”, “come ’l nocchieri ch’entra in navilio senza timone o bussola”. Pensieri stimolanti, insomma, che aprono – sia pure sul filo della libera associazione – percorsi diversi ma tutti convergenti nel mettere in luce la modernità del pensatore: dalla differenza di grado, più che da una radicale discontinuità e tantomeno da una conclamata superiorità, che intercorre fra uomini e animali (“L’uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso. Li animali l’hanno piccolo, ma è utile e vero”) al riconoscimento, tutt’altro che scontato quando Leonardo scriveva, che “El sole non si move”. Verità scientifiche intuite con certezza, capacità anticipatrice di un pensiero che se da un lato esprime la convinzione che “Nessuna certezza delle scienzie è dove non si po’ applicare una delle scienzie matematiche”, dall’altro sostiene che “Ogni nostra cognizione principia da’ sentimenti”. Per cui lo sguardo indagatore che si rivolge al sole può tingersi di accenti ben diversi non appena si posa sulla luna: “La luna, densa e grave, densa e grave, come sta, la luna?”.
Un libro piccolo da leggere e rileggere, dunque, per avvicinarsi davvero, al di fuori di ogni logica monumentalizzante, a quest’uomo che, pienamente immerso nei suoi tempi di guerre e congiure – anche l’Ultima cena di Santa Maria della Grazie, nota il curatore, mette in scena una congiura, la congiura per eccellenza della cultura occidentale – si pone “all’inizio della modernità”, maestro di una pittura sempre innervata dalla conoscenza naturale e dalla riflessione filosofica (il pensiero corre all’animale che compare in copertina, nella celebre Dama con l’ermellino, quando si legge che “Moderanza raffrena tutti i vizi: l’ermellino prima vol morire che ’mbrattarsi”).
Avvicinarsi all’uomo, in conclusione, senza per questo disconoscerne la grandezza, e insieme il suo essere “vario e instabile”, come gli rimproverava Vasari. “Una sostanziale incapacità caratteriale a concludere le cose – ammette Ruozzi –, distratto o attratto da troppi interessi contemporaneamente” ha senz’altro connotato Leonardo. Produttore di un’opera ricca di “lacune e frammenti” – quali sono questi stessi pensieri – interpretabili però “come mimetici dell’imperfezione e della fragilità intrinseca della nostra esistenza.”
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.