Gianfranco Pacchioni, L’ultimo sapiens. Viaggio al termine della nostra specie, il Mulino 2019 (pp. 214, euro 15)
Uno scienziato, ma uno di quelli che tiene a farsi fa capire da tutti. L’idea che l’alta divulgazione sia appannaggio degli anglosassoni è smentita da un libro come questo: evoluzione, intelligenza artificiale, genetica, nanotecnlogie, neuroimmagini non restano terreno di enunciazioni che danno per scontato conoscenze che mediamente non abbiamo.
Una seconda premessa: a dispetto del titolo, non è un pessimismo radicale a connotare il discorso, ma non è neanche il facile (e obbligatorio) ottimismo dei nostri tempi. “Passi da gigante” è un’espressione ricorrente, a proposito della velocizzazione dell’innovazione registratasi negli ultimi decenni nei campi più diversi”, ma non si dà per scontato che l’innovazione sia di per sé progresso: può risolversi in uno “sviluppo forsennato delle tecnologie” e portare a risultati imprevisti e, a dir poco, inquietanti. Come quando due macchine intelligenti, Bob e Alice, programmate per sostenere trattative commerciali, a un certo punto si sono messe parlare fra loro in un linguaggio incomprensibile, fatto di parole, sì, ma disposte in sequenze senza senso. Sennonché – questo il fatto allarmante – il linguaggio inventato dai due dispositivi, e trasparente a loro soltanto, ha permesso di concludere la trattativa con successo! Macchine capaci di “auto apprendere più velocemente degli scienziati informatici, con risultati devastanti per la nostra specie. Forse – avverte l’autore – sono scenari eccessivamente catastrofisti, magari la superintelligenza non arriverà mai. Ma non ci conterei troppo.” Anche in altre occasioni la conclusione resta volutamente aperta, come a dire al lettore che sta a lui, sulla base di altre sue conoscenze, delle sue esperienze, della scala di valori che riconosce, trarre un giudizio. Un equilibrio di fondo, condito di ironia, è il tono che ci viene proposto, e non potrebbe essere diversamente dal momento che ogni capitolo è introdotto da un racconto in cui si è previsto con largo anticipo quanto avviene oggi: un racconto di Primo Levi, il Levi chimico, l’uomo di scienza fantasioso e lo scrittore lucido delle Storie naturali, di Vizio di forma e del Sistema periodico. Un atteggiamento non demonizzante ma capace di prender atto delle possibili derive – tendenzialmente in atto o comunque possibili – dell’innovazione tecnologica si direbbe possibile, insomma, solo là dove le “due culture” sappiano dialogare. Come in Levi, e in Pacchioni, appunto. Capaci di metterci di fronte alla prospettiva di “scenari del tutto imprevedibili”, abitati da “esseri, non necessariamente integralmente biologici, in parte umani e in parte artificiali, più intelligenti di noi sapiens.” Ci arriveremo fra venti o trent’anni, secondo alcuni, convinti che sarà “uno dei momenti più promettenti per la storia dell’umanità”. Ma ci sono altri per i quali “potrebbe essere uno dei più pericolosi”. Ai posteri l’ardua sentenza, si sarebbe detto in passato, ma non oggi, perché – si chiedeva Primo Levi – “ci saranno storici futuri, diciamo nel prossimo secolo [questo, n.d.r.]? Non è del tutto certo: l’umanità potrebbe aver perduto ogni interesse per il passato, occupata come sarà a dipanare il gomitolo del futuro; o perduto il gusto per le opere dello spirito in generale, essendo intesa unicamente a sopravvivere; o cessato di esistere.”
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.