Alessandro Dal Lago, Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra, Cortina 2018 (pp. 169, euro 14)
“Populismo perché i leader pretendono di agire in base al mandato diretto del popolo; digitale perché la nuova relazione tra leader e popolo avviene soprattutto nell’acquario del web.”
Tutto qui. E non è poco: il popolo “nella realtà materiale non esiste – lo dimostra la rapida ricostruzione che l’autore fa dei significati via via attribuiti al termine – se non nelle convenzioni o nelle finzioni della democrazia rappresentativa”. Ma ecco la novità: quello stesso popolo “si è ora ricostituito in rete”. Le promesse di democrazia diretta che la rete – o meglio, i suoi più o meno consapevoli e interessati cantori – ha diffuso, hanno creato il terreno entro cui è rigermogliata l’idea, o la pretesa, di “un popolo che sopprima le differenze di ceto, religione, educazione”. Idea suggestiva ma equivoca: “oggi, dopo l’esaurimento dei grandi movimenti sociali del XX secolo”, ristrette élite sono tornate ad attribuirsi “il compito di guidare il popolo verso la realizzazione della sua natura più profonda” (quella appunto in cui non esisterebbero né differenze di classe né appartenenze religiose diverse e dislivelli di natura culturale). Senonché, data la crisi delle istituzioni democratiche, “ora si suppone che il popolo parli e decida direttamente per sé”. E qui sta il punto: la rete e i social oscurano il dato reale, ossia che l’essenza del populismo continua ad essere rappresentata dal fatto che qualcuno parla per conto di “un popolo che non c’è”.
Analisi convincenti del dilagare di questo populismo condotto con altri mezzi dagli Stati Uniti alla Russia si accompagnano a quelle rivolte a casa nostra: Berlusconi, certo, ma il M5S soprattutto. Non tanto perché sia il nemico principale (qui non si gioca, come prima del 4 marzo, al gioco del peggio Berlusconi o peggio Grillo, anzi: Di Maio), ma perché rappresenta “un esperimento politico che non ha precedenti al mondo”, configurandosi come “un sistema multi-aziendale capace di integrare attivismo di base, azione parlamentare e uso sapiente di Internet”; governato, nella sostanza, da un blog controllato da una società di consulenza aziendale.
Demonizzazione della rete, dunque, vista come origine della degenerazione politica attuale? No. L’incapacità della Sinistra – finiti i tempi in cui si poteva ancora parlare di “ritardo”… – di comprendere il carattere epocale dei cambiamenti economici e sociali degli ultimi decenni è un fatto, così come è lì da vedere la maggiore abilità della Destra di sfruttare le potenzialità della rete. Ci sono responsabilità più definite tuttavia, nell’affermazione del M5S: “L’elettorato tradizionalmente progressista e radicale si è sentito senz’altro abbandonato a se stesso sia dal decisionismo presuntuoso di Renzi – cui del resto pulsioni populiste sono tutt’altro che estranee – sia dalla scomparsa di qualsiasi opzione di sinistra”. Ma c’è stato dell’altro: l’iniziale “illusione di tanti intellettuali e artisti – ma anche politici: D’Alema e Bersani, ad esempio – e cioè delle élite per lo più di sinistra, delle virtù taumaturgiche di Grillo”.
E comunque: non è un pamphlet, un esercizio pur legittimo di indignazione, il libro di Dal Lago. Piuttosto l’offerta di spunti per una considerazione pacata del cambiamento profondo in atto, che non si misura solo nella politica e nell’informazione, ma nella rivoluzione del vissuto dello spazio e del tempo che il digitale determina, e nella connessa perdita di terreno del pubblico rispetto al privato. Un privato esibito continuamente ma non per questo paragonabile al confronto, allo scambio che solo il contatto faccia a faccia permette.
Una considerazione pacata perché “non ha senso esecrare questi sviluppi. Ma è necessario comprenderli”. Consolatorio forse, ma inutile – si potrebbe concludere – cimentarsi in critiche sempre più dettagliate e risentite degli errori e delle derive culturali della Sinistra o della malafede cinica della Destra: occorre capire che cosa è successo e soprattutto che cosa succederà, consci tuttavia del fatto che “la prevalenza della politica digitale su quella reale – una prevalenza che fa rima con quella osservabile nell’economia… – non permette di fare previsioni a lungo termine.” Neanche a breve: leggere questo libro prima del voto del 4 marzo poteva essere utile. Ancor più utile è tornarci a riflettere adesso, guadagnando la pratica di un’analisi attenta, sempre aggiornata. Perché “la crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”: Gramsci – non a caso citato in esergo – l’aveva capito.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora