Giovedì 16 marzo ore 17.30
Incontro con Paolo Cognetti
Presentazione di Le otto montagne (Einaudi 2016)
Con l’autore dialoga Carlo Simoni
La montagna, il mai concluso misurarsi con chi ci ha messo al mondo, l’amicizia.
E la vita che passa, e dà e toglie. Anche cose simili si possono raccontare con il ritmo del passo. Un ritmo semplice, lento, concentrato.
I temi e la voce, la scrittura di Cognetti si possono sintetizzare in questo modo, se parliamo del suo romanzo, Le otto montagne (di cui i nostri “Appunti per i lettori” si sono occupati lo scorso 2 dicembre). E’ in quelle pagine che i più hanno scoperto questo giovane scrittore, ma la vetta raggiunta con questo libro, accolto come un capolavoro da migliaia di lettori, ha richiesto, come la conquista di ogni cima richiede, un lungo percorso di avvicinamento. Fatto di racconti, innanzitutto. Pubblicati fra il 2004 e il 2012: dal Manuale per ragazze di successo a Una cosa piccola che sta per esplodere a Sofia si veste sempre di nero. Si potrebbe disegnare una mappa dei temi e dei motivi che attraversano questi racconti e ritroveremo nel romanzo: famiglie “disastrose” e percorsi di formazione a dir poco accidentati, la cesura profonda fra le aspettative e gli orizzonti della generazione degli anni ’70 e quella degli anni ’90 (i comunisti sono come i cattolici: “vi fate un culo così perché credete nel futuro. Io voglio essere felice adesso”). Il tutto vissuto da personaggi – bambine e ragazze soprattutto: la prevalenza di voci e punti di vista femminili è un dato di fondo – da cui lo scrittore si lascia sorprendere, seguendoli con il rispetto che contrassegna l’amore. Ma sarebbe fuorviante, e riduttivo, leggere i racconti di Cognetti come una palestra in cui s’è allenato in vista della scalata al romanzo. I racconti ci propongono una poetica che è tutt’uno con la comprensione di un dato esistenziale: la nostra identità, il chi siamo davvero, non corrisponde alla somma di quello che ci è capitato di vivere né con la cronologia della nostra vita. Siamo piuttosto la risultante, sempre provvisoria e in via di ridefinizione, dei nostri ricordi, delle relazioni e delle esperienze che ci hanno segnato, delle speranze e delle paure che ci hanno seguito. “Siamo il nostro repertorio di storie, non importa se vere o inventate”: è uno dei non pochi passaggi illuminanti che costellano le pagine di A pesca nelle pozze più profonde. Meditazioni sull’arte di scrivere racconti che han l’aria di aver sempre accompagnato Cognetti nella sua esperienza della scrittura (a volte rapprendendosi nel “sogno di un racconto”, qual è Il nuotatore). Niente di più distante da un vademecum per aspiranti scrittori, comunque: se mai sono un esempio di buona scrittura, queste meditazioni, e soprattutto un racconto di racconti, a partire dagli amati americani (Hemingway e il suo Nick Adams in primo luogo), perché è leggendo – sembra sostenere implicitamente l’autore – che, sempre che sia possibile, si impara a scrivere. Leggendo e cercando nelle pagine degli scrittori le loro motivazioni a scrivere, e le vie lungo le quali hanno imparato il loro mestiere. Ed è sulla scia dei grandi autori d’oltreoceano che Cognetti diventa cittadino di New York, e ne scrive guide sui generis (New York è una finestra senza tende e più recentemente Tutte le mie preghiere guardano verso ovest) che sono a loro volta narrazioni, dense di rimandi ai grandi della letteratura americana ma anche delle storie d’ogni giorno che si possono ascoltare traversando quartieri connotati da lingue, sapori, mentalità fra loro diverse.
E la montagna? Che cosa ne è rimasto tra la folla e le luci della metropoli, che sia New York, la città d’elezione, o Milano, quella in cui si vive? “Non è mica quel gran salto che tutti pensano”, gli spiega un amico, anche lui uomo di montagna trapiantato nella Grande Mela: “è solo un altro tipo di solitudine”.
E infatti alla montagna torna, lo scrittore, perché è il luogo della vita lenta, vera, giusta. Il luogo che “custodisce la tua storia”. I passaggi d’età, le vicende della vita, le speranze e gli affetti è nella montagna che trovano la loro verità, ed è là si lascia affiorare allora Il ragazzo selvatico che la città non ha soffocato. Così come le short stories di Carver e compagnia non hanno zittito voci diverse, come quella di Rigoni Stern, la cui eredità – diceva Cognetti su Repubblica pochi giorni fa – “sento il bisogno e il dovere di mantenere viva”: anche a questo bisogno, forse, ha risposto Le otto montagne. A questo, e al desiderio di dare una casa ai volti, alle voci, agli scenari che avevano finora alimentato la scrittura: “Da tempo volevo scrivere una storia di montagna, di padri e figli e di amicizia maschile”, racconta Paolo Cognetti nel suo blog: “quel giorno, andando dietro al mio amico fuori dal sentiero, mi ricordo di aver pensato: ma ce l’hai già, questa storia, è tutta qui, non la vedi? La devi solo raccontare. Hai i personaggi, i ricordi, i luoghi, non ti resta che mettere insieme i pezzi e trovare le parole. Soprattutto hai la cosa più importante, e cioè il sentire che questa storia è viva dentro di te, è vera, ti accompagna da sempre, e adesso che l’hai vista non puoi più pensare ad altro che a scriverla. Vai a casa e comincia. Di colpo c’ero già dentro fino al collo.”
Bibliografia
Manuale per ragazze di successo, minimum fax 2004 (pp. 118, euro 9)
Una cosa piccola che sta per esplodere, minimum fax 2007 (pp. 163, euro 10)
New York è una finestra senza tende, Laterza 2010 (pp. 160, euro 14)
Sofia si veste sempre di nero, minimum fax 2012 (pp. 207, euro 14)
Il ragazzo selvatico. Quaderno di montagna, Terre di mezzo 2013 (pp. 101, euro 12)
Il nuotatore, Orecchio acerbo editore 2013, (pp. 60, euro 13,50)
A pesca nelle pozze più profonde. Meditazione sull’arte di scrivere racconti, minimum fax 2014 (pp. 133, euro 13)
Tutte le mie preghiere guardano verso ovest, EDT 2014 (pp. 107, euro 7,90)
Le otto montagne, Einaudi 2016 (pp. 204, euro 18,50)