“L’equivoco per cui uno scrittore sia necessariamente anche un intellettuale è figlio dell’altro-ieri della storia letteraria…”

“L’equivoco per cui uno scrittore sia necessariamente anche un intellettuale è figlio dell’altro-ieri della storia letteraria (dell’engagement, dell’impegno di stampo secondo novecentesco etc.). Ciò non toglie che uno scrittore possa essere anche un intellettuale, ma i due campi, pur confinanti, non si sovrappongono. Quando un artista interpreta il mondo lo fa senza ridurlo a categorie ideologiche – quelle cui, giocoforza, ricorre un intellettuale impegnato – ma abolendo il concetto stesso di categorie e di ideologie. La sua prospettiva rispetto, a esempio, un conflitto bellico di scala internazionale, non è quella verticale della geopolitica, ma quella radente, orizzontale, del viandante, dell’uomo che cammina. (…) E l’opera ci mostra, per questo, della realtà, una verità ben più duratura di qualsiasi analisi obbiettiva”. (Stefano Gallerani)

“Bisogna guardare con perplessità o sconforto alle illusioni degli scriventi…”

“Bisogna guardare con perplessità o sconforto alle illusioni degli scriventi [altra cosa dagli scrittori, secondo la distinzione introdotta dalla Morante] e dei leggenti (spesso molto simili e vicini tra loro, a volte e sempre più spesso la stessa persona) (…) bisogna guardare alla scrittura e alla lettura come a ‘droghe’ non poi così secondarie, grazie alle quali si può diventare certamente più intelligenti ma anche, e pericolosamente, più acquiescenti all’andamento del mondo così come lo guidano i potenti, diventandone passivamente complici (…) Se il verbo non si fa carne, cioè presenza e intervento nella storia per renderla migliore, per riscattarne la tragedia, è grande il rischio che rimanga inerte chiacchiera, ciarla, evasione. E, a ben guardare, colpa”. (Goffredo Fofi)

“La scrittura, per come la vedo io, non è un esercizio di ego…”

“La scrittura, per come la vedo io, non è un esercizio di ego. È più simile alla costruzione di un mandala. Annullare se stessi e il mondo costruendone uno più nitido ma fittizio, il cui scopo è essere spazzato via da un colpo di mano. Lo stesso vale per la lettura. Il lettore troppo legato al suo io non riuscirà mai a godere appieno di un libro”. (Luca D’Andrea)

“Tutto quello che uno scrittore fa di diverso dallo scrivere…”

“Tutto quello che uno scrittore fa di diverso dallo scrivere è un tradimento dell’essere scrittori. Non lo si dovrebbe mai fare. Però la gente soffre. E allora tu sei davanti a un dilemma: proteggere la tua professione, o proteggere quelle persone che sono silenziose, senza voce e non hanno mezzi? Io ho cercato di fare tutte e due le cose. E tuttavia penso di avere commesso un crimine contro il mio mestiere, cioè contro il fatto di essere uno scrittore”. (Ahmet Altan)

“Io, stare tanto tempo senza scrivere neanche un libro…”

“Io, stare tanto tempo senza scrivere neanche un libro, non so come dire, sì, avevo due libri che dovevano uscire, ma li avevo finiti di scrivere più di un anno prima, era più di un anno che non scrivevo un libro nuovo e a star tanto tempo senza scrivere niente, mi sentivo in colpa. Per quello, credo, avevo bisogno di cominciare una cosa”. (Paolo Nori)

“è il prezzo che si paga per essere scrittori…”

“[Pensare così tanto ai propri genitori] è il prezzo che si paga per essere scrittori. Si è assillati dal passato: sofferenze, sensazioni, rifiuti, tutto. Credo che questo aggrapparsi al passato sia un impellente, quasi disperato, desiderio di reinventarlo in modo da poterlo cambiare. Medici, avvocati e molti altri rispettabili cittadini non sono tormentati da una memoria così ostinata. A loro modo possono anche essere turbati (…), però non se ne rendono conto. Non approfondiscono”. (Edna O’Brien)

“Un libro composto da frammenti autobiografici…”

“(…) un libro composto da frammenti autobiografici (…). Di norma, una cosa del genere andrebbe scritta in prima persona. Se lo avessi fatto, la mia storia personale sarebbe stata al centro dell’attenzione, ma non era quello che volevo. Potevo optare per la terza persona, ma mi sembrava troppo distante (…). In alternativa c’era la seconda persona. Più ci pensavo e più mi rendevo conto che avrebbe avuto l’effetto di aprire in piccolo spazio tra me e me, in cui avrei potuto intraprendere un dialogo intimo con me stesso. Volevo guardarmi da una certa distanza, piccola però, e la distanza della terza persona sarebbe stata troppo grande. Allo stesso tempo volevo coinvolgere il lettore. Per molti versi il libro invita il lettore a esplorare le proprie memorie, a riflettere sulla propria vita. Spero che funzioni da cassa di risonanza e che le persone ricordino il genere di cose che io ricordo di me stesso nel libro”. (Paul Auster)

“Insegnavo scrittura creativa…”

“Insegnavo scrittura creativa, una materia che personalmente non ho mai studiato e un’attività che non so bene come giudicare. L’unico beneficio possibile, come la vedevo io, era che lo sforzo insito nel tentativo di scrivere qualcosa avrebbe insegnato agli studenti quanto è difficile farlo bene e quindi affinato la loro capacità di apprezzare la buona scrittura”. (Paul Auster)