“Il concepimento è ben poca cosa rispetto al parto…”

“Il concepimento è ben poca cosa rispetto al parto. Intendo dire che, fino a quando non sono state assorbite in una strategia narrativa d’insieme, le mie ‘idee’ – sul sesso, il senso di colpa, l’infanzia (…) – non erano diverse da quelle di chiunque altro. Tutti hanno ‘idee’ per romanzi; la metropolitana è piena di persone che si reggono alle maniglie rigirandosi per la testa idee per romanzi che non riusciranno mai a scrivere. Spesso anch’io sono uno di loro.”

(Philip Roth)

“Non si scrive narrativa per affermare principi e credenze che chiunque sembra condividere, né per rassicurarci sulla giustezza dei nostri sentimenti…”

“Non si scrive narrativa per affermare principi e credenze che chiunque sembra condividere, né per rassicurarci sulla giustezza dei nostri sentimenti. Il mondo della finzione ci libera dalle gabbie in cui la società rinchiude i sentimenti; una delle facoltà dell’arte è permettere tanto allo scrittore quanto al lettore di reagire all’esperienza in modi non sempre contemplabili nella quotidianità (…)- Possiamo anche non sapere di avere uno spettro di sentimenti e di reazioni così ampio, finché non vi entriamo in contatto grazie all’operato della narrativa. (…) Cessando per un po’ di essere cittadini integerrimi, precipitiamo in un altro stato di coscienza. E questa espansione della coscienza morale, questa esplorazione della fantasia morale, è preziosa, è preziosa sia per l’individuo che per la società.”

(Philip Roth)

“Diffido della parole pessimismo e ottimismo. Un romanzo non afferma niente; un romanzo cerca e pone delle domande…”

“Diffido della parole pessimismo e ottimismo. Un romanzo non afferma niente; un romanzo cerca e pone delle domande. (…) Io invento storie, le metto a confronto l’una con l’altra e in questo modo pongo delle domande. La stupidità della gente deriva dall’avere una risposta per tutto. La saggezza del romanzo deriva dall’avere una domanda per tutto.”

(Milan Kundera)

“Forse pensavo che mettere le cose nero su bianco, tenere un resoconto scritto della mia esistenza…”

“Forse pensavo che mettere le cose nero su bianco, tenere un resoconto scritto della mia esistenza, fosse un modo per neutralizzare… la mia scomparsa. La mia cancellazione. Lasciare un segno nel mondo, come si suol dire. (…) Ma anch’io per esperienza posso dire che scrivere le cose non serve, se non per il fatto che più tempo passiamo a scrivere meno ne abbiamo per fare quelle cose che finiamo per dimenticare nostro malgrado.”

(Lisa Halliday)

“Se il mondo è davvero truffaldino e irreale come a me sembra stia diventando ogni giorno di più…”

“Se il mondo è davvero truffaldino e irreale come a me sembra stia diventando ogni giorno di più; se ci si sente sempre più impotenti al cospetto di questa irrealtà; se l’esito inevitabile è la distruzione, se non di ogni forma di vita, quantomeno di quasi tutto ciò che di prezioso e civile c’è nella vita… allo perché, in nome di Dio, gli scrittori sono contenti? (…) il fatto che la situazione sia angosciante pesa sullo scrittore non meno, e forse anche più, che su qualunque altro cittadino – perché per lo scrittore la comunità è, in senso stretto, tanto il tema quanto il pubblico. E può accadere che, quando la situazione produce sentimenti non solo di disgusto, rabbia e malinconia ma anche di impotenza, lo scrittore si perda d’animo e finisca per dedicarsi ad altro, alla costruzione di mondi del tutto immaginari, e alla celebrazione dell’io, che può, in diversi modi, diventare il suo tema, nonché la forza che determina il perimetro della sua tecnica.”

(Philip Roth)

“Per un vero romanziere la Storia non è altro che un “laboratorio antropologico”…”

“Per un vero romanziere la Storia non è altro che un “laboratorio antropologico” per mettere alla prova i suoi personaggi. La Storia, infatti, è la quintessenza dell’astrazione: è popolata da uomini e donne senza volto. Il romanzo corregge la Storia: offre a ogni individuo un volto.”

(Massimo Rizzante)

“La sua biblioteca era ristretta. Col passar degli anni, s’accorgeva che era meglio concentrarsi su pochi libri…”

“La sua biblioteca era ristretta. Col passar degli anni, s’accorgeva che era meglio concentrarsi su pochi libri. In gioventù era stato di letture disordinate, mai sazio. Ora la maturità lo portava a riflettere ed a evitare il superfluo. (…)  Da tempo cercava d’allontanare da sé la letteratura, quasi vergognandosi della vanità d’aver voluto essere, in gioventù, scrittore. Era stato svelto a capire l’errore che c’è sotto: la pretesa d’una sopravvivenza individuale, senz’aver fatto nient’altro per meritarla che mettere in salvo un’immagine – vera o falsa – di sé. La letteratura delle persone gli parve una distesa di lapidi del cimitero: quella dei vivi e quella dei morti. Ormai nei libri cercava altro: la sapienza delle epoche o semplicemente qualcosa che servisse a capire qualcosa. Ma siccome era abituato a ragionare per immagini continuava a scegliere nei libri dei pensatori il nocciolo immaginoso, cioè a scambiarli per poeti (…).”

(Italo Calvino)