Interesse generale e interesse particolare
Interesse particolare e interesse generale sono concetti contraddittori e contrastanti o elementi che possono essere conciliati dalle norme giuridiche e dall’azione delle autorità pubbliche?
L’interesse particolare è incompatibile con l’interesse generale o ne è, normalmente, complementare?
Quale ruolo gioca l’interesse generale nello scenario politico-economico, socio-culturale attuale?
È ancora reale il suo valore come elemento di giustificazione dell’azione dello Stato e come fattore di coesione nelle società?
Il nostro futuro è legato alle risposte che sapremo dare a queste domande.
Nella prassi politica si fa grande uso (e abuso) del concetto di interesse generale, spesso per legittimare scelte ed azioni e dare un senso razionale a certe prese di posizioni senza dover ricorrere a troppe giustificazioni.
Il dibattito segue due linee fondamentali: l’utilità e la razionalità.
Nell’ottica dell’”utilità”, la questione viene risolta come “il massimo beneficio per il maggior numero di persone”; nella prospettiva della “razionalità”, invece, vengono posti limiti al criterio quantitativo, da cui deriverebbe una “dittatura della volontà della maggioranza”, la “sintesi finale” non può essere considerata espressione della volontà generale perché ne rimane estranea la partecipazione delle minoranze.
Nel corso della storia, pur con termini e caratteristiche diverse, l’interesse generale è stato oggetto di studi, analisi, diatribe ma acquisì maggior forza soprattutto a partire dal XVI secolo, in molti casi assumendo il carattere di “ragion di Stato”.
Machiavelli, in particolare, punta ad un ampliamento dello spazio di deroga delle norme che, sotto la pressione di una qualche emergenza, viene concesso alla politica in nome di un interesse generale superiore. L’unica ragione evidente, però, è quella di salvaguardare il potere del “sovrano”, senza tenere in considerazione la volontà popolare, secondo il principio che “il fine giustifica i mezzi” [1].
Quando chi gode del privilegio di governare parla di bene comune per difendere i propri interessi specifici, quando il concetto di interesse generale viene usato per dare utilità e razionalità alle azioni del potere, come argomento decisivo nel processo decisionale, risulta inevitabilmente snaturato, compromesso e perde il suo valore: non dipende più dalla volontà generale ed è funzionale a interessi particolari.
Una minoranza che fa propria l’interpretazione di ciò che è interesse generale ne fa una questione di potere; si proclama la razionalità delle proprie azioni per nascondere i reali interessi di un leader, di una élite, di lobby di ogni tipo, di un partito politico, di poteri economico-finanziari, dello staff di un giudice, di gruppi di pressione… una “ragion di Stato” camuffata dietro il tanto abusato termine di “bene comune”.
Gli “interpreti” attuali della volontà collettiva, o almeno di ciò che viene presentato come interesse di tutti, si rifanno alla democrazia rappresentativa e non più ai miti o alle interpretazioni religiose del passato, ma ritengono ancora di avere il brevetto esclusivo di interpretare il senso comune, di determinare l’interesse generale, la cui garanzia, invece, corrisponde all’insieme sociale, alla società nel suo complesso, consapevole e cosciente di diritti e doveri, in una sintesi della volontà di tutti, in cui converge una pluralità di maggioranza e minoranza come salvaguardia dello Stato di diritto.
Ci si nasconde dietro la “razionalità” di certe scelte (risuona come un eco del “non ci sono alternative”!) per riaffermare il proprio potere decisionale e difendere interessi politici, elettorali, economici… Così una minoranza finisce per dominare la maggioranza e deciderne i destini; nel proporre l’uguaglianza garantita sull’interesse generale, di fatto, si crea – diritto alla mano – sempre più disuguaglianza.
L’interesse generale non è una verità assoluta rivelata a pochi eletti, tanto meno quando è nelle mani di chi esercita il potere, è un lungo percorso di un processo di sintesi d’interessi collettivi al cui interno nessun interesse peculiare deve prevalere.
Anche oggi, nella democrazia rappresentativa, si continua a delegare ad “interpreti” la comprensione della volontà popolare e ad agire di conseguenza.
È indispensabile trovare meccanismi che rendano inutile (o per lo meno controllabile) la presenza di questi interpreti, poiché un interesse è veramente generale solo se espressione della volontà collettiva liberamente espressa.
Troppo spesso, da ormai troppo tempo, gran parte della gente, superficiale e indifferente, ha finito per mettere nelle mani dei politici un assegno in bianco per determinare il suo futuro nell’illusione che venga salvaguardato il proprio interesse personale, senza neppure chiedersi quale esso veramente sia.
I fatti degli ultimi mesi hanno evidenziato come tante percezioni fossero errate e come sia necessario, e urgente, comprendere che l’interesse individuale passa attraverso l’interesse della collettività perché tutti possano sviluppare ed esprimere il massimo delle proprie capacità e diritti.
Dietro il concetto d’interesse generale c’è la persona e la sua dignità, c’è l’obiettivo di realizzare condizioni di vita che permettano il pieno sviluppo di ogni individuo e della collettività perché in una società di uomini e donne pienamente “realizzati” tutti vivono meglio.
La dignità, in una concezione integrale della persona, deve essere messa al centro, come fondamento di ogni collettività; l’essere umano viene riconosciuto come cardine e principio dello Stato e della società, nel rispetto del suo particolare valore, unito nella garanzia dei diritti di ogni persona e gruppo.
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