Cees Nooteboom, Venezia. Il leone, la città e l’acqua, Iperborea 2021 (pp. 255, euro 19,50)
Fra coloro, non pochi, che ritengono che da una parte ci siano le città, tutte, e dall’altra Venezia, c’è sicuramente Nooteboom: Venezia – prevede, anche se ci ritorna dopo esserci già stato molte volte –, “ mi attirerà e mi respingerà (…), diverrà parte della mia vita mentre io non sarò mai parte della sua, vagherò come un granello di polvere attraverso la sua storia”, e anche se visitarla si risolve in un “esercizio di ripetizione, la città deve essere riconquistata ogni volta”, perché a coglierti è “sempre la stessa mescolanza di estasi e di smarrimento”. La si può conoscere in ogni angolo e sperimentare così la sottile sensazione dello spaesamento. Ma non si tratta solo di luoghi, di spazio. È la grana del tempo che è diversa: “Il tempo qui non pesa nulla”, anche se, contraddittoriamente, “le bronzee voci del tempo che in altre città non si sentono più, qui ti saltano addosso nei vicoli e sui ponti”, e non si tratta solo del tempo della giornata. È il tempo della Storia a venirti incontro in questa “città pieno di ombre e del ricordo di ombre, Monteverdi, Proust, Wagner, Mann”. È tutta la città a confondere il presente con il passato, a far continuare a vivere, e a lasciar intravedere, il passato nel presente: “Qui si va in giro un po’ disorientati, smarriti tra gli strati di passato, che a Venezia appartengono tutti contemporaneamente al presente. Qui l’anacronismo è l’essenza stessa delle cose”. Tanto più che il futuro stesso si aggira fra calli e campielli, un futuro che non si vuole immaginare, quello in cui la città “come un Titanic, tornerà a sprofondare nel molle terreno su cui sembra ancora galleggiare”. Meglio dunque affidarsi, in questo girovagare che si traduce in un minuto diario di sguardi e memorie, a guide che risalgono a tempi nei quali un simile destino era del tutto impensabile, al Baedeker del 1906, o alla guida del Tci del ’54 (un po’ come Michael Portillo nelle sue serie documentaristiche che la televisione da anni ci propone). Ma il proposito è presto scordato: la città si impone e “se hai buon senso ti lasci smarrire”, ti rendi conto dei vantaggi che ha perdersi, a Venezia; entrare “in un vicolo che finisce contro un muro o su una riva senza ponti” e in questo modo vedere “quelle cose che non avresti visto mai” se avessi seguito diligentemente i consigli di una guida, né avresti udito: è quando abbandoni le vie più battute che senti, nel suono dei passi, “il rumore dimenticato di un tempo senza automobili e che qui risuona ininterrottamente da tanti secoli”.
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