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Serge Latouche, Breve storia della decrescita. Origine, obiettivi, malintesi e futuro, Bollati Boringhieri 2021 (pp. 144, euro 16)
Fa bene Serge Latouche a tornare periodicamente a spiegare la sua idea, a illustrarne presupposti e conseguenze, perché su di essa non è calato il silenzio, come su altre espressioni del pensiero critico, ma si è riversata una violenta reazione che l’ha caricaturizzata, in chiave regressiva o pauperista: dovremmo forse tornare alla candela? e che cosa ci sarebbe di felice nella rinuncia a molte delle cose che il progresso ci ha donato? Non è forse il sogno di chi queste cose le possiede, questa proposta di abbandonare la crescita come parametro attorno a cui tutto non può che ruotare (misure di contrasto alla pandemia comprese, verrebbe da aggiungere)? Una reazione non casuale, tanto più beffardamente ostile quanto più la proposta ha saputo giungere al cuore del sistema che governa la nostra società, le nostre vite.
Ecco allora una nuova lezione su quel che si deve intendere per decrescita, questa volta più di altre consapevole – si direbbe – dei fraintendimenti ormai sedimentati e disinvoltamente perpetuati da giornalisti e politici privi di remore nell’interpretare il progetto riduttivamente, come un programma immediatamente operativo: non senza qualche responsabilità del suo ideatore, c’è forse da dire – si notava sommessamente commentando un altro libro di Latouche (Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro, uscito l’anno scorso e in queste note alla fine dell’agosto 2020).
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