Vivere il dolore della perdita

Massimo Recalcati, La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia, Feltrinelli 2022 (pp. 142, euro 16)

Vivere significa accumulare perdite. Delle persone che amiamo e da cui siamo amati (quando “il trauma della perdita consiste innanzitutto nel fatto che non c’è più nessuno ad attendermi”), ma anche di età della propria vita irrimediabilmente trascorse, di amori e speranze, di progetti nei quali ci identificavamo e si sono poi rivelati irrealizzabili. E non preserva dal dolore sapere che “ogni legame implica la possibilità della sua dissoluzione non come un’eventualità tra le altre, ma come un suo inevitabile destino”.

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La vita in un’epoca di disastri incombenti

Paolo Giordano, Tasmania, Einaudi 2022 (pp. 266, euro 19,50)

Paolo – si chiama come l’autore, il protagonista – comincia col raccontare del suo soggiorno a Parigi nel 2015, giornalista accreditato alla Conferenza sull’emergenza climatica, per soggiungere subito, legando l’occasione pubblica alla sua dimensione personale, che “se non ci fosse stata in previsione una conferenza sul clima è probabile che avrei inventato un’altra scusa per partire, un conflitto armato, una crisi umanitaria, una preoccupazione diversa e più grande delle mie da cui farmi assorbire”. Il romanzo è già tutto qui, in questa ammissione di adesione alla propria epoca e, nello stesso tempo, di propensione a prenderne le distanze cercando compulsivamente un altrove in cui trovare un equilibrio, se non una soluzione definitiva alla propria inquietudine.

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Vita e letteratura in un paese senza memoria

Svetlana Aleksievič, Una battaglia persa, Adelphi 2023 (pp. 46, euro 5)

“Quando cammino per strada e afferro parole, frasi, esclamazioni, penso sempre a quanti romanzi scompaiono senza lasciare traccia. Svaniti nel tempo. Dissolti nelle tenebre. C’è tutta una parte della vita umana, quella del parlato, che non riusciamo a portare nella letteratura. (…) non ce ne siamo fatti stupire o incantare. Io, invece, ne sono ammaliata e prigioniera”. È questa la “battaglia persa” della giornalista e scrittrice russa? la battaglia contro il senso comune letterario, la miopia, o l’indifferenza, degli scrittori? Senza d’altra parte dimenticare l’opacità che caratterizza l’altro versante, quello della gente, fatta di quegli stessi che pure sono portatori di storie.

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Luoghi piante animali uomini / Amedeo Balbi

“L’energia non è mai gratis: questa è una delle regole di base della realtà. La prendiamo in prestito e la trasformiamo, ne utilizziamo solo una parte e ne cediamo il resto all’ambiente in una forma degradata, che va persa per sempre. Non esistono forme di energia che non producano scarti (…) Nella migliore delle ipotesi, dissipiamo la parte inutilizzata sotto forma di calore. Il riscaldamento globale è la conseguenza certamente indesiderata (…) dell’uso di energia sempre maggiore di cui una civiltà ha bisogno per crescere e migliorare la propria condizione”.

Luoghi e oggetti di un sentimento volubile, la memoria

Il libro della memoria. Dimore, stanze, oggetti. Dove abitano i ricordi, a cura di Antonella Tarpino, il Saggiatore 2022 (pp. 317, euro 24)

Un’antologia di testi: la curatrice stessa tiene a far derivare questo libro dal suo precedente Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani (Einaudi 2008), nel quale, come il sottotitolo evidenziava, si metteva in luce la tendenza della memoria a “(rinarrare) il tempo attraverso lo spazio”, tendenza che la letteratura ha spesso praticato essendo “capace – come notava Zygmunt Bauman – di rendere la solidità e la liquidità, l’omogeneità e la pluralità, il liscio della continuità ma anche l’agro, il ruvido, il crocchiante che abitano le nostre esistenze”.

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Oggi, domani / Enzo Bianchi

“Il concetto di bene comune purtroppo è stato accantonato a favore di una concezione individualistica e utilitaristica della società e si è progressivamente imposta l’idea secondo la quale l’organizzazione politica si giustifica per il fatto che garantisce ai membri di una collettività i diritti individuali di cui sarebbero dotati anteriormente alla loro esistenza sociale. Così il bene comune ha ceduto il posto all’interesse generale, concepito come la somma degli interessi individuali”.

Gli animali, umani e non, e la morte

Susana Monsó, L’opossum di Schrödinger. Come vivono e percepiscono la morte gli animali, Ponte alle Grazie 2022 (pp. 272, euro 18)

Quasi ormai impossibile leggere che il possedere un’anima distingua gli uomini dagli animali, rara l’attribuzione della distinzione all’intelligenza, frequente quella al linguaggio, ma da qualche tempo diffuso, e dominante sulle altre si direbbe, la convinzione che a far la differenza sia la consapevolezza della morte, che disinvoltamente autori della più diversa estrazione, e sensibilità, si dichiarano pronti a negare negli animali non umani. Un po’ come può capitare, anche se meno frequentemente, di sentire che i vegetali non saprebbero di vivere, nonostante l’intelligenza in loro individuata da uno stuolo di botanici. Al di là della loro fondatezza, simili posizioni appaiono accomunate dall’incapacità di pensare che non esista altro modo di rapportarsi alla morte, e alla vita, che non sia il nostro.

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Vicini animali

Helen Macdonald, Voli vespertini e altri saggi su ciò che la natura ci insegna, Einaudi 2022 (pp. 302, euro 20)

“Ogni scrittore ha un tema”: “a me piace pensare che il mio tema sia l’amore, e più precisamente l’amore per il luccicante mondo della vita non umana che ci circonda”. È per dar voce a questo amore che Macdonald da storica della scienza diventa scrittrice, senza comunque rinnegare il suo passato: “La scienza fa qualcosa che sarebbe bello facesse anche la letteratura: dimostrarci che viviamo in un mondo eccezionalmente complesso di cui non siamo il fulcro”. Ma è solo la letteratura a farci vivere non come un motivo di frustrazione ma come fonte di arricchimento e comprensione, di noi stessi in primo luogo, l’incontro con la pluralità dei viventi.

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Scrivere, leggere / Günther Anders

“(…) importante è che l’ampio fiume del romanzo continui a scorrere. Se esso si prosciugasse, la comune vita quotidiana sarebbe sconosciuta già domani. Perché la storiografia non ha mai conservato la vita quotidiana. (…) Ciò che oggi al romanziere chino sulle sue pagine sembra pura finzione, sarà domani una fonte inesauribile di fatti”.

L’arte di lasciare spazio al lettore

Claire Keegan, Piccole cose da nulla, Einaudi 2022 (pp. 94, euro 13)

“In ottobre gli alberi erano gialli (…) poi arrivavano i venti di novembre, soffiavano senza sosta spogliavano i rami”; “Mai viste tante cornacchie a dicembre”; “Per la settimana di Natale era prevista neve”: è con notazioni sul tempo atmosferico che spesso iniziano i capitoli, ci pare di vederlo il clima della cittadina irlandese di New Ross, e anche la sua gente, che “perlopiù sopportava il maltempo, scontenta: bottegai e artigiani, uomini e donne alle poste e in coda per la disoccupazione, alla sala bingo, nei pub e in friggitoria non facevano che parlare, ciascuno a modo suo, del freddo e di quanto era piovuto”. Dei tempi pare non si parli invece, i tempi difficili che l’Irlanda viveva negli anni Ottanta, segnati da una recessione che l’aveva portata a registrare il più alto tasso di disoccupazione in Europa.

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La nostalgia di chi non se n’è andato

Vito Teti, La restanza, Einaudi 2022 (pp. 160, euro 13)

“La nostalgia dell’altrove riguarda anche chi è rimasto e assiste alla fine del mondo in cui è nato”, “melanconico abitatore di un mondo da cui non si è mosso”, “nostalgico sognatore di un mondo che non conosce”: il ruolo attivo, progressivo, della nostalgia e la condizione di chi resta – la restanza appunto – come l’altra faccia di quella in cui si trova chi ha invece scelto la partenza e ha abbandonato il luogo in cui era nato e aveva vissuto. Le acquisizioni critiche che si sono lette nel precedente libro che l’antropologo calabrese aveva dedicato all’argomento (Nostalgia. Antropologia di un sentimento del presente, in queste note nell’aprile 2021) si ritrovano in questo, come riferimenti di un unico discorso nel quale, oltre ai risultati della ricerca, entra la memoria autobiografica di un restante, quale Teti è: “La mia piccola esperienza locale è ricca di padri che partivano e di madri che restavano (…). Per me, ne ho coscienza chiara, da sempre partire e restare sono stati indissolubilmente legati”.

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Luoghi piante animali uomini / Piergiorgio Bellocchio

“Progresso. La suprema ironia del destino sarà che nel giro di pochi decenni (o siano pure uno o due secoli) l’uomo ipernutrito, ben protetto dal freddo e dal caldo, grazie ai progressi della scienza e della tecnica servito da ogni sorta di macchine… morirà per mancanza d’aria, d’acqua, cioè di quei beni che la natura ci ha regalato per migliaia di anni (…), quei beni che i miracoli della scienza e della tecnica, il mito del progresso illimitato avranno distrutto”.

La terribile malattia che la gente stupidamente chiama ‘non avere niente’

Proust. Del buon uso della cattiva salute. Lettere di un malato immaginifico, a cura di Eusebio Trabucchi, L’orma 2022 (pp. 64, euro 7)

Il titolo ricalca quello della Preghiera per domandare a Dio il buon uso delle malattie di Pascal: “Tu mi hai dato la salute per servirTi, e io (sovente) ne ho fatto un uso tutto profano.
Mi mandi ora la malattia per correggermi: non permettere che io ne usi per irritarTi con la mia impazienza! (…) Fa che io mi auguri salute e vita soltanto per impiegarla e concluderla per Te, con Te, in Te!” Basta immaginare che il Tu cui il filosofo si rivolgeva non coincida con il Creatore ma sottintenda un’altra entità – la Scrittura – ed ecco trasparire, nel volto spigoloso e glabro dell’autore dei Pensieri,quello pallido e baffuto di Marcel Proust, autorelegatosi nella famosa camera dalle pareti foderate di sughero e dedito notte e giorno alla composizione della sua grande opera.

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Oggi, domani / Norberto Bobbio

“Solo chi crede che la politica non sia tutto giunge a convincersi che la cultura svolge un’azione a lunga scadenza, anch’essa politica, ma di una politica diversa. La politica ordinaria, piacerà o non piacerà, è la sfera dei rapporti umani in cui si esercita la volontà di potenza, anche se coloro che la esercitano credono che la loro potenza – beninteso non quella degli altri – sia a fin di bene. (…) Solo chi crede in un’altra storia – vi crede perché la vede correre parallelamente alla storia della volontà di potenza –, può concepire un compito della cultura diverso da quello di servire i potenti per renderli più potenti, o da quello, ugualmente sterile, di appartarsi e di parlare con sé stesso. Io, personalmente credo, ho sempre creduto, in quest’altra storia”.

La pazienza, virtù inattuale

A. Tagliapietra, I cani del tempo. Filosofia e icone della pazienza, Donzelli 2022 (pp. 191, euro 34)

Lasciamo da parte i riferimenti, numerosi e puntuali, alla storia del pensiero filosofico e a quella dell’arte, che ricorrono ad ogni pagina. L’originalità di questo libro sta innanzitutto nel fare, e nel costringerci a fare, i conti con una virtù d’altri tempi, la pazienza: “Nella trama della contemporaneità, là dove l’affermazione del progetto ideologico della ragione strumentale votata alla produzione per la produzione sembra giungere a compimento, innervando con virale capillarità e pervicace ostinazione le forme della vita quotidiana, la pazienza appare una virtù del tutto inattuale. (…) L’impazienza può essere ritenuta la cifra contemporanea dell’esperienza soggettiva o, se si vuole, la causa stessa della sua mancanza, vale a dire il movente per cui si inseguono, con sempre maggiore frenesia, situazioni e circostanze che sembrano cariche di esperienze possibili, ma che, una volta raggiunte, non mantengono mai quello che avevano promesso”.

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Dalla parte del lupo

Kerstin Ekman, Essere lupo, Iperborea 2022 (pp. 208, euro 17,50)

Le stagioni, i boschi, gli animali: in alcune pagine si ha l’impressione di muoversi nel mondo di Rigoni Stern. Ma lo sguardo che il protagonista posa sui luoghi e le creature che li abitano non è nativo. È il frutto di un cambiamento lento, profondo, che da ispettore forestale e cacciatore lo porterà a un ripensamento radicale della propria vita. “Vivevo una vita normale. Forse non sarebbe durata chissà quanti anni ancora, ma in ogni caso una vita normale, perfino buona”, condivisa con la moglie, donna solida e affettuosa, con la quale si è ritirato in una proprietà lontana dalla città, fra i boschi. “E si andava avanti, vivevamo una vita normale, ce l’avevo fatta. Poi vidi il lupo”.

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