Vasilij Grossman, Stalingrado, Adelphi 2022 (pp. 889, euro 28)
Non credo sia capitato solo a me di rimandare la lettura di questo romanzo, una volta che me lo sono trovato fra le mani: inondati come siamo da mesi di notizie sulla guerra in Ucraina, l’idea di ritrovare in un libro altri racconti di violenza e distruzione e persino nomi di luoghi, di città e di oblast, come abbiamo imparato a dire, che la cronaca ci ha reso quasi familiari, mi ha consigliato di posticipare l’impresa. Perché di un’impresa si tratta: se non si è lettori di fantasy, non capita spesso di cimentarsi con opere di questa mole. Sono però bastati un assaggio, poche pagine, e la renitenza è caduta: non è semplicemente la storia a sgombrare da subito il campo dalla cronaca, ma la letteratura. Quella che sa restituirci con immediatezza le figure dei personaggi che, come si dice, la storia l’han fatta: Hitler e Mussolini, dunque, che si incontrano a Salisburgo a fine aprile, nel 1942, e il primo annuncia al collega “l’ultimo, decisivo attacco all’Unione Sovietica”.
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