Tommy Wieringa, Una moglie giovane e bella, Iperborea 2019 (pp. 117, euro 14)
“Collezionista di prime volte” nella sua vita sentimentale, il virologo Edward, finché non incontra Ruth, di parecchi anni più giovane di lui. Al solo vederla prova “una nuova sensazione: la bruciante nostalgia di qualcuno che ancora non conosceva”. La sposa, la tradisce con una collega, hanno un bambino, che non smette di piangere, neanche la notte, e cui la moglie si dedica in modo esclusivo attribuendo al marito un’indefinita responsabilità: il piccolo, sostiene, percepisce che lui non lo desiderava. È meglio che non abiti con loro, dunque, e al virologo non resta che accamparsi, all’insaputa dei colleghi, nel suo laboratorio, fra le cavie. Senonché, la sensibilità animalista della moglie l’ha contagiato: “A volte guardava gli animali nelle loro gabbie con gi occhi di Ruth e vedeva che la prima forma di sofferenza a cui venivano sottoposti era la noia. Smettevano di prendersi cura di sé (…). Più spesso e a lungo li guardava, più si affievoliva dentro di lui la negazione della loro sofferenza”, sulla scorta delle idee non solo della moglie ma anche di Jeremy Bentham, secondo il quale la domanda da porsi se si vuole tracciare un confine tra uomini e animali «non è: “Possono ragionare?”, né “Possono parlare?”, ma “Possono soffrire?”».
La riflessione sul dolore animale si intreccia sempre più strettamente con quella su di sé: la gallina bianca che trent’anni prima, ancora ragazzino, aveva salvato dall’allevamento intensivo è forse l’unico essere che ha davvero amato, o per il quale aveva provato “una sorta di compassione”, mentre col passare degli anni quella sensibilità è scomparsa e riesce difficile ricordare “com’era… avere un cuore, un cuore che ti mette in condizione di lasciarti trasportare e sentirti parte della vita sulla terra…”. Ma il tempo è passato, e ormai “le singole parti della sua biografia non volevano saperne di amalgamarsi in un insieme, in un’unica vita che mostrasse significato e coerenza.”
Ecco il punto: Edward è uno di quegli uomini che, superati i quaranta, si rende conto di aver continuato “a salire e scendere la scala della (loro) vita” e faticano a cogliervi qualcosa che possa riconoscere come una biografia: come i depressi (si pensi all’io narrante di Emanuele Trevi, in questi Appunti lo scorso 26 maggio), così anche questi personaggi sembrano aggirarsi con assiduità nei romanzi che l’editoria oggi ci propone. Ne fa parte, per fare un esempio, anche lo psichiatra Kadoke di Terapie alternative per famiglie disperate di Arnon Grunberg (Bompiani 2019), afflitto da una pervasiva “stanchezza di vivere” che “bisogna scavalcare come si scavalcano le pozzanghere”, assorbito da un rapporto con la figura materna dai tratti patologici, eppure privo di passioni al punto che “talvolta va all’opera per vedere e ascoltare emozioni che non gli sono del tutto estranee, ma che non vive più in forma diretta.” Chi sono questi uomini? Hanno forse alle spalle l’esperienza dei giovani di cui spesso si parla: espropriati di futuro, più o meno apparentemente anaffettivi, incapaci di un progetto biografico?
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.