Questo libro inaugura la collaborazione fra Secondorizzonte e la casa editrice veronese Cierre edizioni, che dalla metà degli anni Ottanta opera nel campo dell’editoria di approfondimento e qualità.
Una situazione “scabrosa e singolare” quella di persone “che si conoscano solo attraverso lo sguardo”: la richiama Thomas Mann nella Morte a Venezia, notando che è proprio da questo loro “incompleto conoscersi che nasce il desiderio”.
È quanto accade al protagonista, dodicenne, di questo romanzo quando incontra Heinrich e Thomas Mann, durante un loro soggiorno di cura a Riva del Garda, ed è lo sguardo del secondo a colpirlo: “alzava gli occhi a guardare il lago, però si vedeva che guardava più lontano. O non guardava neanche… Certo è che non mi avrebbe tanto colpito lo sguardo che quel signore, improvvisamente giratosi dalla mia parte, mi rivolse, se non ne avessi prima notato quel modo di guardare…”.
L’incontro, insieme a quello che si ripeterà anni dopo a Viareggio, durante un altro periodo di vacanza dello scrittore, segna la vicenda del protagonista, rivelandogli una “forza, che fino a quel momento non aveva mai sospettato di possedere” e che si traduce nel desiderio di sfuggire alla vita che il destino familiare gli offre. Un desiderio che conoscerà diversioni ma si manterrà in qualche modo fedele a se stesso e lo condurrà, prima bambino, poi giovane, a riattraversare la storia drammatica della propria famiglia da un lato, e dall’altro a intraprendere un lungo e complesso itinerario di conoscenza di sé.
Quella che segue è la pagina iniziale del romanzo.
A dodici anni portavo ancora i capelli lunghi come quando ero piccolo. Così voleva mia madre, che nei mesi precedenti la mia nascita s’era convinta che stava per veni- re al mondo la bambina che desiderava da sempre. Invece ero arrivato io, e lei mi teneva a quel modo i capelli, fin sulle spalle, e prima di uscire con mio padre, la domenica, me li lisciava con una spazzola che usava solo per me, e poi mi metteva un poco di rossetto sulle guance e non ancora contenta si inumidiva di saliva l’indice e il medio d’una mano e me li passava sulle sopracciglia.
Quanto agli abiti mi vestiva come un maschio, ma i capelli voleva che restassero così, e mio padre aveva smesso di protestare. C’era un patto fra loro, da tempo. Che quando sarei entrato in fabbrica anch’io, il giorno prima lui mi avrebbe portato dal barbiere, e non dall’Amedeo, che stava al Varone, ma dal barbiere Bonometti, quello giù in città. Perché il taglio doveva essere perfetto.
Se mi si chiedesse che cosa ne pensavo io, non saprei rispondere. O direi che ad avere i capelli lunghi ero abituato. E comunque la cosa non mi interessava poi tanto. Come se riguardasse un altro. Quella saliva sulle sopracciglia e quei pomelli rossi, quelli sì mi davano fastidio, e cercavo di divincolarmi quando mia madre me li imponeva. Ma i capelli no. Non escludo che in fondo mi ci sentissi a posto. Li avevo sempre avuti così e non badavo a quelli degli altri ragazzi, a scuola: sarebbe stato come sentirmi diverso perché il mio naso, o il colore degli occhi o la forma delle orecchie non erano uguali a quelli di un altro. Quello ero io, e basta. Coi capelli lunghi e ancora biondi del biondo che poi coll’età scurisce. Ma questo non lo sapevo, allora. Non sapevo molte cose allora.
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Recensioni
Dal Corriere della Sera-Brescia del 26 novembre 2013.
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Dal Corriere del Trentino del 20 novembre 2013.
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Dal Giornale di Brescia del 26 novembre 2013.
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Da Bresciaoggi del 28 novembre 2013.
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Da Gruppo 2009, 3 febbraio 2015.
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Da AB inverno 2015.
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