Di cosa parlano

Di cosa parlano
quando parlano di Israele
quali sequenze ripercorrono
all’indietro nel tempo
quali scenari pescano le menti
sbilanciate sul futuro
insabbiato il presente tragico
nella nebbia di parole e tracotanza
annegata la realtà della Storia
le colpe dei potenti
nell’indifferenza diffusa.

Lo sguardo dall’altra parte
l’ennesima offesa
nella terra già abitata
tra convivenza forzata
e illegittima espansione
l’ennesima distruzione
il muro si è alzato
artificiosa separazione
ha seminato morti
diviso le case dalle case
i campi dai cortili
le scuole dalle chiese
spezzati i villaggi
sui pendii delle colline
i nuovi insediati
appollaiati sulle cime
dopo i reticolati, le ruspe
e le devastazioni.

Sovrastano gli occupanti
sugli occupati
scorrazzano fra gli ulivi
giusto il tempo dei raccolti
unico sostentamento
nella terra inaridita
da divieti e incursioni
violenza perpetrata
mani d’acciaio, artigli da leoni
e tanta malafede
nel paese sbranato
stillicidio continuato sugli inermi
ridotti all’ombra
dei loro morti.

Resistono gli ultimi rimasti
rinsaldati dalla catastrofe
che ancora li travolge
irrobustiti gli animi
e la memoria
nel magma delle offese
terreno fertile ai desideri
libertà, riscatto
la vita, la terra
no ai missili e alle bombe
basta martiri
sotto le pietre
dei muri sventrati.

Troppi bambini
non torneranno a scuola
lungo il tracciato dei controlli
cartelle perquisite e fucili puntati
due paesi, due stati
ma di cosa parlano
quando parlano
sorvolando
sui villaggi deserti
i solchi di sicurezza
diventati terra di nessuno
il mare innavigabile
senza scusanti e approdi
il sole abbaglia
la vita pulsante
non si piega.

Ti guardo, bimbo
dagli occhi grandi
e sorriso aperto
figlio innocente,
il tuo primo respiro
in Palestina

Non c’è rifugio
illusione che salva
gli occupanti
la verità è un paese
prigioniero di sé stesso
complice dell’ambizione
l’atrocità consumata
nelle pieghe del vivere
la loro sconfitta
nel filo sottile che lega
gli oppressi
al di sopra di ogni confine
la promessa resistente
di pace e possibilità
per l’intera umanità.

21 Maggio 2021

Non mi manca il prima ma l’adesso

▸ dai giorni del coronavirus

“E sopraggiungono giornate piene, mature, perfette, in cui ci sembra che non ci sia più niente da cambiare; e forse non c’è; ma appena da crescere, in maturità ancora più dense. E cessa l’ansia del fare perché tutto sentiamo è già fatto; e il di più è soltanto un di più che ci può essere o non essere; e non cambia poi molto.”
(Adriana Zarri)

1.

Mi manca il brusio
che anticipa l’avvio del discorso
nella cornice degli incontri
dove la parola è un rilancio
lo scambio
un’alchimia di pensieri.

Mi manca la stretta di mano
una pacca sulla spalla
lo sguardo che indugia nel sorriso
il contatto lieve
di un corpo
confuso nell’abbraccio.

Mi manca vagheggiare mete
la partenza, l’arrivederci
la fatica del viaggio
quel ritrovarmi straniera
in luoghi
dove non sono mai stata.

Non mi manca il prima
ma l’adesso
l’apertura ai desideri
fragili creature appena nate
ignare dello smarrimento
in anticipo sulla minaccia
del contagio.

22 ottobre 2020

2.

Come rumori di cavalli in fuga
si perdono i pensieri nell’altrove
Tacciono le voci
il silenzio riempie i giorni
un incantesimo malvagio
scoraggia i passi là fuori
spalle girate agli incontri
silenziosa e ostinata
ascolti la vita che passa.

25 ottobre 2020

3.

Lasciarsi scivolare
nel riverbero rosso giallo
di questo sole autunnale
sulla terra incolta
dimentica del profumo
dell’erba e del fieno.

Sciogliere nel silenzio
il proprio turbamento
assopiti gli istinti
slanci trattenuti
un passo dopo l’altro
il ritmo è del cuore.

Ogni battito
della vita porta il segreto
vigilia di festa, presagio di morte
gioia e dolore stanno insieme
nell’instancabili alternarsi
delle ore di buio e luce.

30 Ottobre 2020

4.

Non alzare gli scudi all’amore
accogli i suoi dardi
libera parole e gesti
ingorghi di un cuore
troppo a lungo trattenuto

Il tempo è avaro
insensibile a timori e riserbi
procede a passi veloci
cadono in fretta le foglie
stretto è il giro delle stagioni

Pensieri di morte si attardano
come ombre rimaste indietro
dopo le prime luci dell’alba
potrei non esserci al tuo ritorno
sul sentiero che attende
vicinanza e nuovi inizi.


Corridoi di luce si aprono
su un altro mondo
increspature chiare
sull’acqua stagnante
panorami imprendibili
la mente inquieta si placa
in primo piano
il sorriso del bimbo
a lungo risuona l’eco delle sue prime parole.


Il canto del cuculo 
anticipa l’alba
migrante in ritardo 
fra rami spogli
bagliori di terre lontane 
spalancano il cuore
ignaro delle geografie
il respiro accoglie 
il giorno che viene.

16 Novembre 2020

5.

Vestito di nuvole
nasce il giorno
sulla Terra offesa
Tintinnano i vetri
sotto la pioggia battente
mani invisibili sui tasti
la melodia di altri mondi
non ha frontiere
Cadono i discorsi
fra una nota e l’altra
insorge la calma
il fiume della vita
segue il suo corso
respiro dopo respiro

8 dicembre 2020

Il viaggio

▸ dai giorni del coronavirus

La valigia era pronta, pesata più volte per non eccedere il peso consentito per il trasporto in aereo. Con Sonia, mia figlia, avevo parlato più volte. Mi aveva precisato l’elenco delle cose che avrei dovuto portarle perché introvabili in Palestina. Con lei e Fabian ci eravamo scambiati impressioni su quanto stava avvenendo in Cina dove l’epidemia investiva migliaia di persone. Il contagio in Italia si stava manifestando. Il mondo ci guardava preoccupato grazie anche al diffondersi di notizie dal tono allarmistico. I provvedimenti del Governo nazionale si alternavano. Ora vertevano sull’introduzione di restrizioni e divieti al movimento delle persone, ora facevano passi indietro rassicuranti. Il tutto accompagnato da polemiche propagandistiche da parte di governi regionali. Principalmente della Lombardia che già allora sembrava essere, con il Veneto, fra le regioni più colpite.

Dal Giappone, dove il contagio sembrava non essere da meno che in Italia, l’azienda per la quale lavora mio nipote Nicola aveva chiuso la sede italiana e inviato per i dipendenti e i loro familiari mascherine e detergenti. Io restavo attenta, ma la comprensione di quel che stava capitando mi lasciava incredula e disorientata.

La valutazione condivisa con mia figlia era che, la mia salute permettendo e se non sorgevano impedimenti, sarei partita. Temevo l’annullamento del volo per Tel Aviv. Israele rumoreggiava su possibili chiusure ai voli provenienti dall’Italia, ma il fatto che fosse uno Stato sotto elezioni e da sempre militarizzato mi impediva di valutare la fondatezza di quella intenzione. Così, giorno dopo giorno restavo in paziente attesa. Fino a due giorni prima della partenza, quando la compagnia aerea mi avvertì con un sms della cancellazione del volo. La mia delusione fu enorme. Acuto esplodeva come un urlo troppo a lungo trattenuto il desiderio di esserci, di essere là dove il mio nipotino Rami di pochi mesi, stava crescendo e scoprendo il mondo intorno. Che perdita!

Infranto il desiderio, al suo posto si è insinuata una tristezza sottile che si rinnova ogni volta che il mio sguardo cade sulla valigia rimasta lì, pronta, mai disfatta, in bella vista nella casa: un richiamo alla consapevolezza di quanto sia illusorio pianificare il proprio tempo. Non che prima lo ignorassi, ma mai come ora mi è sembrato così vero che l’unico tempo possibile è questo presente dove tutto il tempo, passato e futuro, si è riversato. Insieme a tutto il mio essere, a quel che sono e sono stata. Reclusa dentro le pareti della casa. Pochi metri che si allargano per mia fortuna al giardino. Una boccata d’aria in mezzo ai fiori. Una boccata d’aria alla faccia di quel parassita che insidia la vita di ciascuno, di ciascuna, dispensando morte. Alimentando quel mare di sofferenza umana le cui diverse origini mi arrivano senza confondermi. Guerre, occupazioni, distruzioni, embarghi e naufragi premeditati.

Così mi capita di pensare che la paura del contagio rappresenti l’opportunità per lo stato di Israele di liberarsi dei testimoni internazionali per espandere indisturbato la colonizzazione della Palestina. Quale altro motivo se non questo per affidare la gestione dell’emergenza virus al suo potente servizio segreto, per chiudere i palestinesi nei territori occupati schierando l’esercito sui confini?

Sento che tutto questo sta avvenendo in un mondo distratto dal virus, e che quest’ultimo fa meno notizia in alcuni paesi, in particolare quelli più poveri sui quali è caduto un silenzio assordante, e più in altri dove il tono guerresco dell’informazione arriva al punto da deformare la realtà. Le ultime notizie arrivate dall’Italia in Giappone devono aver trasmesso l’idea di un paese ridotto alla fame, se dai dirigenti aziendali di quel paese sono arrivati per i loro dipendenti italiani chili di riso. Certo la situazione per molte persone è davvero difficile, ma descrivendola più grave di quel che è non si favorisce l’individuazione dei provvedimenti necessari, al massimo si alimentano misure propagandistiche – distribuzioni di sostegni in denaro o buoni pasto a pioggia – e si attivano furbizie. O si occulta la realtà, come successo nel dibattito fabbriche aperte/fabbriche chiuse, in cui la condizione di chi lavora in attività essenziali e le necessità di un’economia tesa a garantire un vivere dignitoso non trovano più spazio. Per non dire delle reali condizioni della sanità italiana.

Dal turbamento che mi lascia pensare tutto questo trovo sollievo soltanto quando dipingo e lo sguardo si concentra sulle forme che l’acqua, i colori, i gesti lasciano sul foglio bianco. Mi immergo corpo e spirito ritrovando quella quiete che ben oltre le pareti della stanza ricollega il senso di me, della mia vita all’insieme dei legami che l’accompagnano e la rendono quel che è.

Così scopro che se il tempo si è tutto rattrappito nel presente chiuso delle mie stanze, al contrario lo spazio si è allargato. Da qui, accolgo ogni mattina il mio nipotino. Lo osservo dal video, stupita io stessa di potermi avvalere della potenza di questi mezzi. Leggo le lettere delle amiche vicine e lontane, nel silenzio mi confronto con le loro riflessioni mentre riordino la casa, mi invento lavori di cucito. Sperimento ricette felice di farne un regalo. Rispondo all’invito di condividere nella distanza delle proprie rispettive case esercizi di shodo, con l’inchiostro. Preparo quaderni con gli scritti delle amiche del Cerchio della scrittura, biglietti per gli auguri di compleanno con disegnate le stagioni e i loro fiori. E resto curiosa e fiduciosa di quel che di buono questa primavera ci sta riservando.

Il tempo, sfuggito alle ingannevoli trame

▸ dai giorni del coronavirus

Il tempo,
sfuggito alle ingannevoli trame
del progressivo divenire,
si è composto come un puzzle
niente contorni, zero forme
aboliti i frammenti
qui ora, la tua vita intera.

Il tempo, tutto il tempo
in un palpito del cuore

Risuonano mancanze
sottili corde vibrano alle voci
che vanno e vengono
alcune si allontanano,
senza l’eco di un addio,
nitide, squillanti
altre appena sussurrate.

Le mani muovono l’aria
indisponibile alla presa
il corpo avanza passi inconsueti
profondità segrete si aprono
nella realtà dei giorni.

Il dono è un vuoto
un cambio di prospettiva
che sovverte gli elementi.

Si fonde il prima nell’adesso
il dopo è uno sguardo spalancato
la fusione è un vortice
cadono le certezze
nuove domande si sollevano
fra il cielo e la terra.

28 Marzo 2020