Leonard Michaels, Il club degli uomini, Einaudi 2018 (pp. 144, euro 17)
“Club maschili. Gruppi femministi. (…) Mi venne in mente Socrate: il fatto che erano i suoi discepoli ad adorarlo, non la moglie. E Karl Marx, sempre in giro con Engels mentre Jenny stava a casa coi bambini.”
Sembra che le cose non siano cambiate. Non sono riunioni di donne quelle di cui si parla in questo libro (pubblicato per la prima volta quarant’anni fa, e non li dimostra), ma della serata di un gruppo di uomini che vorrebbero costituirsi in club per “raccontarsi tutto”. E ci provano. Raccontano storie della loro vita – senza registrarle, sapendo che le cose che si registrano va a finire che non si ricordano – e finiscono a parlare solo di donne, secondo uno schema che sembra imprescindibile: storie di ciascuno di loro, della moglie e dell’“altra donna”. E così, di storia in storia, alla fine non trovano di meglio che saccheggiare il frigorifero della casa, la casa dell’ospitante, e far fuori le provviste che sua moglie aveva preparato per il giorno dopo (in vista della riunione del suo gruppo femminista, guarda caso). Sembra che gli uomini, quando si trovano e, soprattutto, quando cercano di parlare di sé, non sappiano alla fine che ricreare l’atmosfera spaccona, e – almeno nelle aspirazioni – trasgressiva, di quando erano adolescenti: “fratelli di sballo” dunque, anche se qui lo sballo è fatto più di cibo e di alcol che di canne. “Mi chiedevo se fosse davvero necessario parlare”, confessa il narratore, uno dei partecipanti: “pieno di cibo com’ero, ero anche pieno di spirito conciliatorio”. Immerso come gli altri in un raggiunto “spirito di fratellanza” che non è tuttavia per nulla universale: “La fratellanza è esclusiva”. E’, tendenzialmente, branco. Sicché del clima di confidenza che circola si avverte la transitorietà, l’arbitrarietà, una fragilità che la rende sempre sull’orlo di trasformarsi nel suo opposto, nel sarcasmo reciproco, nell’aggressività gratuita. Si continua a parlar di donne, girando attorno al senso di una loro sostanziale alterità che si tende però a eludere, per riconoscere se mai la loro indispensabilità: “Quando c’è lei, non devo sforzarmi di vivere”…
E torna, lei. In una casa resa inabitabile dagli (allegri?) amici che per una lunga serata ne hanno fatto il terreno della prima sgangherata riunione di quello che immaginavano potesse diventare il loro club.
All’inizio degli anni Ottanta questo libro doveva lasciare l’amaro in bocca. E non è che oggi lasci un altro sapore. E’ che ci si è abituati, almeno un po’, a storie nelle quali gli uomini, rispetto alle donne, non fanno bella figura.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora