Dieci buone ragioni per leggere un “minidiario” dai giorni della reclusione
▸ dai giorni del coronavirus
Esco alle otto e mezza di sera, perché non ho voglia di rifare la coda fuori dal supermercato, a un metro da quello prima e da quello dopo, che ci si guarda in tralice di continuo per far mantenere la distanza, con il serpentone che si allunga finché il supermercato non lo vedi nemmeno. Fuori, vuoto.
Ma vuoto vuoto. Che ho un primo attimo in cui dico ah, però, bello, mai visto così e poi mi scopro inquieto, perché le montagne, le vallate, il mare sono belli quando non ci sono le persone, le città no: se sono vuote sono città morte.
Comincia così il “minidiario dei giorni di reclusione”, scritto a partire dal 13 marzo, pochi giorni dopo l’inizio del “lockdown”, ma “scritto un po’ così”:
Sto scrivendo di getto, rileggendo a malapena quanto scrivo (è una delle regole che mi sono dato per questo diario, lo dichiaro fin dal titolo).
Ma scritto da chi? Da Trivigante, stando al nome del sito – trivigante e le cose – che evoca un personaggio dei poemi quattrocenteschi di Pulci, Boiardo e Ariosto.
E perché leggerlo, di questi tempi, intasati di commenti punti di vista critiche eccetera?
Per dieci buone ragioni. Che ti si fanno chiare man mano leggi il già scritto e si confermano poi di giorni in giorno (sperando che Trivigante tenga duro).
1.
Condizioni di vita comuni, o molto simili – anche se la barca un cui ci troviamo non è mai stata la stessa, e tanto meno lo è stata via via che la Fase Uno procedeva fino a sfociare, si fa per dire, nella Due – non hanno sgombrato la scrittura da una sua abituale e radicata postura: molte delle cose che abbiamo letto e leggiamo in questi giorni portano in sé l’ambizione, più o meno dissimulata, di alzarsi una spanna sopra gli altri, di distinguersene. Come se scrivendo, appunto, si potesse guardare quello che sta intorno da una posizione privilegiata, tirandosene fuori nella sostanza. O immaginando di farlo, comunque.
Qui no: chi scrive questo diario lo fa proprio perché si sente uno e centomila. Nessuno no, non scriverebbe altrimenti, non alimenterebbe con la scrittura quotidiana un desiderio più grande: condividere cose viste e sensazioni provate. Un desiderio che presuppone una cosa non da poco, e sempre più rara, o quanto meno rarefatta: la fiducia che un terreno comune esista, e sia quello a contare, in definitiva, e ad evitare che le voci che si fanno sentire, pretendendo di essere ascoltate, per quanto penetranti e preveggenti finiscano per clamare nel deserto.
E cosa di più comune del desiderio di fare qualcosa di sensato in questo tempo libero imposto? Senza tuttavia dare indicazioni e stilare vademecum, si badi. Offrendo se mai un esempio, raccontando la propria esperienza:
Suddividere la giornata in unità di tempo (venti minuti, mezz’ora) e dedicarne in modo accurato alcune ad attività pianificate, anche in modo multiplo, aiuta. Pulire e Netflix non aiutano, da soli. Per fare, quindi, un esempio, questo minidiario è una cosa di questo tipo, serve a me. A ciascuno, dunque, il suo.
2.
Il ricorso a un termine impegnativo come diario (per quanto abbassato da quel mini) non prelude al ripiegamento su di sé che tradizionalmente connota il genere: il rischio poteva forse esserci, ma l’antidoto è fin dall’inizio efficace, e consiste nell’ironia, colore dello sguardo che l’autore rivolge a se stesso e proprio per questo è capace di allargare agli altri:
Oggi l’Eco di Bergamo aveva undici pagine di necrologi, che delizia per gli anziani al bar, se solo ci fossero.
Oggi è il 22 marzo e se fosse il 1848, forse sarei fuori a finire le Cinque giornate contro gli austriaci. Non so, forse no, chissà, è che la prospettiva attualmente mi pare desiderabile rispetto allo stare chiuso in casa.
Bertolaso, al secondo giorno di lavoro, si è ammalato. Nella migliore tradizione del raccomandato appena ottenuto il posto fisso. Lo so, potevo non dirla ma non sono riuscito a trattenermi.
Al trentottesimo giorno di diario dalla reclusione è difficile non ripetersi o non arenarsi. (…) Ma come ha fatto Pellico nelle sue prigioni? (…) Forse dovrei fare come Pellico: «volsero alcuni giorni, ed io era nel medesimo stato; cioè in una mestizia dolce, piena di pace e di pensieri religiosi». D’accordo, ora mestizia dolce, per i pensieri religiosi vediamo più avanti. Dio, come vorrei andare in un bar a dire cazzate.
Diobono, cinquanta giorni. Cinquanta giorni che non bevo un cappuccino al bar. Ma oggi c’è il decreto, stasera c’è Conte. E allora sì. Ormai è una corsa parossistica: si potrà andare a innaffiare gli orti, anche quelli degli altri; si potrà andare nelle seconde case ma solo nelle proprie; si potrà andare in giro, sì, ma con giudizio; si potrà divertirsi sì, ma con la testa; si potrà fare il bagno ma solo chi abita a tre metri al mare o su chiatte galleggianti; (…) si potrà andare a Cuneo il giovedì; si potrà volare col parapendio ma non in luoghi affollati; si potrà andare al ristorante ma solo ordinando il secondo; si potrà spostarsi in un’altra regione ma solo su mezzi a due ruote; (…) riapriranno i cinema e le case chiuse; ci sarà la pace fiscale e quella edilizia e sarà tre volte natale e festa tutto il giorno; si potrà, infine, andare in vacanza ma solo con il camper o la roulotte. Ecco, non sono tutte affermazioni così lontane da quanto si sente in questi giorni.
3.
L’ironia, ma non solo: a non fare di questo un (mini)diario intimo è anche, o soprattutto forse, la propensione nativa, verrebbe da dire, più che intenzionale e programmatica, di concepire ogni passaggio entro una dimensione collettiva, naturalmente aperta a raccogliere, tra i fatti della cronaca, quelli sintomatici di una situazione comune e, in particolare, di un modo di sentire che non si limita al singolo. Il che è reso possibile proprio dal fatto che non li si guarda dall’alto o da fuori, gli altri, ma partendo da sé, dalle proprie sensazioni, da un confronto puntuale me e loro, fra prima e dopo:
Devo essere l’unico rintronato che non ha la mascherina. Nel senso che non ne possiedo nemmeno una. Ci ho provato a prenderle, ho chiesto al supermercato, in farmacia, in tutti i luoghi in cui è possibile farlo. (…) ce l’hanno proprio tutti e io non riesco a capire dove le abbiano prese, è un vero mistero. Dappertutto ci sono cartelli in vetrina che dicono che mascherine e disinfettanti sono finiti, ci dev’essere un mercato nero, un luogo segreto, un commercio sotterraneo di cui non sono a conoscenza. (…) Poi, alla fine, una persona gentile me ne regala una, di quelle sanitarie blu con i legacci. Grazie. Almeno ce l’ho anch’io, mi dava fastidio non possederne una a mia volta. Per averla.
Tutte quelle belle volte in cui mi sono detto aspetta aspetta senti che silenzio… Già, ma non era il silenzio, il supersilenzio di questi giorni, era un silenzio con il rumore di una macchina di fondo, qualche voce, un aereo, una sirena, un cacchio di coso che facesse qualche tipo di rumore. Adesso no. Stamattina, poi, non c’era davvero anima viva in giro e il silenzio era totale. Ecco, quando è così io ho un po’ paura. Forse paura no, sono inquieto. Perché un conto è stare da solo quando sei in mezzo alla folla, giusto, sacrosanto, e un conto è stare da solo perché sei da solo.
Io ci ho messo poco a organizzarmi per lavorare a casa, documenti, pc, connessione, vpn, cose così, alla fine abbiamo chiuso l’ufficio ormai quasi due settimane fa e tutti a casa, a lavorare. Il problema è che la prima settimana sono saltati tutti gli appuntamenti – consulenze, incontri per lavori nuovi, preventivi eccetera – e la seconda il lavoro è proprio svanito. Puf. Nel senso che non è entrato assolutamente nulla di nuovo. (…) Che è un bel paradosso, a pensarci: in ospedale e in tutto il settore sanitario non sanno da che parte girarsi, porelli, fanno turni massacranti, travolti dalla marea di ricoverati, lavorano bardati che nemmeno i cosmonauti, e io – come molti altri, direi – sono costretto a casa a domandarmi se guardare una serie tv o sbrinare il freezer.
Ho dovuto mettere un freno anche ai vari telegram, whatsapp, chat e compagnia bella, perché il profluvio di scambi, mi sono reso conto, mi stava travolgendo e mantenendo il mio umore perennemente basso: non posso convivere tutto il giorno con lo scemo a Treviso che è uscito col cane di pezza, con lo stordito che ieri ha bruciato la vecchia (tradizione) in cascina ed erano in ottanta, con la rintronata che fingeva di avere la spesa e in realtà se l’era portata da casa, con gli irresponsabili di ogni forma e colore. Ecco, non ce la faccio.
Sveglio presto, in preda a una certa agitazione da non-uscirò-mai-più-di-casa, invece esco e mi dedico al movimento da criceto: dopo dieci giri dell’isolato attorno a casa sento che va meglio, sono più calmo.
4.
Il continuo, puntuale andirivieni fra sé e gli altri non occupa l’intero spazio del discorso: accanto alla scrittura c’è la vita che, guarda caso, ti avvicina anche fisicamente – per il poco che è possibile – agli altri. Lo scrivere non fagocita il vivere ma continua a rappresentarne solo un momento, per quanto indispensabile:
Da parecchio tempo, ogni volta che vado a fare il bucato cerco di aiutarlo e oggi lo stesso, ma mi rendo conto di come tutta questa situazione lo metta ai margini ancor di più: procurarsi del cibo, ricevere qualche soldo dalle persone di passaggio, approfittare della vicinanza di un supermercato, trovare eventualmente strutture per un pasto e una doccia, tutto ciò è diventato enormemente più difficile. E le persone si mantengono ancor più a distanza. Gli dò tutto quello che ho, in tempi normali sarebbe quasi uno sproposito ma questi non sono tempi normali, io non so quando potrò aiutarlo di nuovo e lui ha il vizio di mangiare tutti i giorni.
Oggi spesa. Frutta e verdura, non supermercato, perché vivaddio non è possibile credere alle notizie che la vitamina C guarisce dal virus e non avere le arance. Parto con lo zaino da trenta litri, due borse giganti della coop, un bauletto, pronto al trasporto perché ho da rifornire almeno cinque persone/nuclei familiari, il che fa un sacco ma un sacco di frutta e verdura. Perché l’imperativo del periodo non è solo andare a fare la spesa uno per tanti ma è anche prendere un po’ di roba in modo da andarci il meno possibile.
Fare la spesa per qualcun altro mi costringe a cercare prodotti sconosciuti e, di conseguenza, andare in corsie del supermercato che non avevo mai frequentato. Quello delle farine e delle fecole, per esempio, manco avevo idea non solo di dove fosse ma che ci fosse proprio. Che esistessero così tante tipologie di tè l’avevo letto nella narrativa inglese ma non pensavo fosse vero. Che qualcuno presti attenzione al dentifricio che acquista e che, anzi, ne voglia una marca specifica e un modello specifico a un aroma specifico questa per me è una vera novità. Io di solito li faccio girare per non dare soddisfazione a nessuno: una volta colgate, una volta mentadent, una volta pastadelcapitano. Che esistessero patatine allo zenzero è una cosa che ignoravo e che avrei continuato a.
Cose belle o particolari del periodo: i miei vicini che mi hanno regalato una forma di pane fatto da loro; una riunione con i miei zii, oggi, per decidere alcune cose su un affitto, fatta in cortile, ognuno in un cantone a debita distanza, essendo appunto in quattro; la mia vicina e amica T. che ogni mercoledì sera fa la pasta per due e me ne lascia una pentolata davanti alla porta; E. e F., due amici, con i quali facciamo lo scambio frutta/vino, io porto la frutta e, per fortuna, ricevo vino (molto più buono di quello che avrei preso io); persone per cui faccio la spesa, in modo che non escano di casa, che mi guardano dagli spioncini e parlano con gratitudine vera al di là della porta; gli stessi che poi mi regalano mascherine; una colomba superbuona ricevuta in regalo che sarà suddivisa in nove parti uguali, una per ogni persona presente in cortile, così festeggeremo in qualche maniera; i disegni ricevuti dalle bambine mie vicine ogni volta che porto loro delle fragole o delle cose buone; l’espressione degli occhi della guardia giurata che sta fuori dal supermercato ogni volta che la saluto cordialmente. Ce ne sono altre, il punto è che sono tutte cose che coinvolgono persone, bene o male. Un altro motivo per cui è difficile: mancano le persone.
5.
Sembrava immobile, e non era: queste pagine ci aiutano a percepire l’evoluzione che si è verificata nelle 55 giornate (ad oggi, cioè fino al diario della scorsa giornata, il 1° maggio), a ripercorre tappe che si sono succedute, lungo un percorso che ha incrociato, senza tuttavia coincidervi, le periodizzazioni segnate dai discorsi di Conte:
Sono giunto alla conclusione che sia sbagliato intrattenersi, in generale e soprattutto in questo periodo, intendo dire cercando svaghi per far passare il tempo, puntando ad arrivare a sera. È un errore in generale, perché distrarsi significa perdersi ore, giorni, mesi e anni di vita, e in particolare in questo periodo, perché non sarà breve – si è detto ma ora non breve comincia ad assumere una connotazione più precisa – e cercare distrazioni di continuo per far passare alcune ore porta solo, prima o poi, a scoppiare.
Il pensiero, a momenti, mi rode un po’, da qualche parte dentro di me c’è qualcosa che spinge alla ribellione solo per infrangere il divieto. Poi, ovvio, non lo faccio e sto buono, distraendomi come posso. Immagino che il sentimento sia alquanto condiviso. E poi c’è il terzo elemento che mi scoccia, e parecchio: il fatto che le regole siano così strette perché c’è una percentuale di persone, esigua o meno, che se ne è fregata finora.
Oggi sono andato al supermercato per il rifornimento delle persone che contano su di me e il mio giro di rifocillazione e la novità, oltre alle entrate contingentate, le mascherine, i guanti, gli orari ridotti dei giorni scorsi, è che provano la temperatura all’entrata. Con un pistoletto che puntano alla fronte e che dà subito la rilevazione della temperatura. Ecco, a me oggi il signore all’entrata ha puntato il coso, poi ha guardato perplesso, me l’ha rifatto (e io, a quel punto, ovviamente penso che ci sia un problema), ha guardato ancora perplesso, e me l’ha ripuntato la terza volta. Ahia, mi dico, e mi prefiguro un futuro a breve di reclusione e di diagnosi fatali. Il signore comprende il mio sguardo interrogativo e gira verso di me il pistoletto: lei ha trentaquattro. 34. Perfetto, o sto defungendo o direi che lo strumento altamente tecnologico ci garantisce una vera sicurezza, dentro il supermercato.
Scrivere, leggere, zappare, lettera, testamento. Ovvero, esattamente come prima della pandemia, sebbene siano stati tolti i viaggi e le visite di qualsiasi tipo. Per cui, trovo curioso questo bombardamento in rete di suggerimenti di cose da vedere, serie tv, film, cose da leggere, libri, fumetti, articoli, cose da sentire, podcast, canzoni, radio, per far passare il tempo in questo periodo. (…) Che poi, uno non comincerà a leggere ora, se non gradiva prima, e tendenzialmente non cambierà le proprie predilezioni proprio ora: usciremo da questo periodo e l’Italia sarà diventata una nazione di accaniti lettori? Giuro, questa non me la vorrei proprio perdere.
6.
E nell’evoluzione generale, torna con regolarità quella personale, a continuare il contrappunto che connota queste pagine, in cui non si scrive per far finta di essere sani:
Faccio fatica, dicevo, perché non posso fare alcune cose che sono essenziali per il mio equilibrio e che portano bellezza e meraviglia nella mia esistenza. Lo so, capita a tutti, ma i tutti non sono nella mia testa e devo invece conviverci io con me stesso.
Scrivere, anche questo minidiario, ascoltare un disco nuovo, lavorare a pleiliste musicali per il godimento diffuso, ascoltare musica buona davvero, leggere testi che contengano bellezza e ingegno, vagolare sulle mappe immaginando viaggi alla ricerca di itinerari coinvolgenti, imparare qualche cosa di nuovo, fare qualche conversazione di qualità, inviare una foto o un pensiero appropriato a qualcuno che possa apprezzare, fare un’azione utile per una persona, mettere a posto qualcosa, fare una gentilezza, condividere una cosa bella scoperta da poco, leggere o guardare una cosa che mi faccia fare una risata, fare movimento, buttare via una cosa inutile, pulire un angolino. Queste sono attività che cerco di fare ogni giorno, niente di zen o da allenamento da Karate Kid, tutt’altro, semplicemente cose che mi piace fare e che danno un senso, a sera, alla giornata.
Per quanto riguarda me, le cose hanno preso un certo ritmo costante, i giorni feriali impegnati tra spese e consegne, i festivi talvolta pure o dedicati a pulizie e scrittura, le incazzature ci sono ma sono lì, in un angolo
Mutamenti d’umore, sia mio che delle persone con cui parlo, almeno alcune. Da un primo periodo di disponibilità e, direi, rassegnazione, dettate dall’emergenza, adesso lo stato d’animo prevalente è quello della stanchezza e della rabbia crescente a fronte di una politica che dire incerta è dire poco, a livello regionale lombardo poi non ne parliamo. Il timore che tutto si prolunghi e che non venga affrontato nel modo migliore si fa largo in molti, da quel poco che riesco a percepire al telefono con alcuni amici. Altri no, hanno staccato i canali di informazione e attendono diligenti. Bravi, lo dico seriamente. Io no, non riesco
7.
Che siano a meno i giornali, la fonte, quella dell’informarsi, del conoscere, del confrontare fatti e fatterelli resta una pratica irrinunciabile, che guarda oltre il locale coltivando curiosità e conservando capacità di meravigliarsi, sorridere e, perché no, provare scandalo:
Oltre ai sanitari, ovviamente, e tutto ciò che ci gira attorno, si va dalle grandi aziende come la LVMH, gigantesco conglomerato di marchi del lusso come Dior e Loewe, che ha annunciato ieri di aver convertito l’intera linea di produzione di profumi in gel disinfettante per le mani (…) a Jennifer Haller, donna di 43 anni di Seattle con due figlie adolescenti, che due giorni fa si è fatta iniettare la prima dose di “mRNA-1273”, dando il via ufficiale alla sperimentazione dei vaccini al Covid-19 sull’uomo. Meglio: sulla donna.
Questa la devo segnalare qui: Kellyanne Conway ha diretto la campagna elettorale di Trump nel 2016 e, a vittoria ottenuta, è stata eletta «Counselor to the President». Come tale, consiglia e ieri ha detto una cosa interessante sul virus: «Stiamo parlando del COVID-19, non del COVID-1, quindi chi lavora all’OMS dovrebbe ormai esserne venuto a capo». Testuale.
8.
Ed è soprattutto la cronaca politica ad alimentare il commento, a motivare il giudizio:
E io, ancora una volta, ringrazio il cielo che tutto ciò non sia accaduto un anno fa, con quel governo, quella ministra della salute, e quello là, oltre a tutto. Oggi avremmo l’esercito in strada con proiettili di gomma e idranti.
Per fortuna, mi ripeto, al governo il sale in zucca c’è e, a Cesare!, si stanno comportando bene, dando dimostrazione di serietà e prontezza. Nessuno, credo, possa dirsi abbandonato in questo momento. I casini più evidenti si riscontrano quando intervengono i governatori locali delle zone più colpite, Lombardia e Veneto, dunque leghisti entrambi, che premono per avere la propria visibilità e, quindi, impongono conferenze stampa in concorrenza con quelle ufficiali della protezione civile.
Sempre peggio la mia insofferenza nei confronti della gestione lombarda della crisi. Ma vivaddio, come posso sentirmi meglio se ogni giorno ce n’è una? Oggi gli spazi pubblicitari sui giornali acquistati da Regione Lombardia (soldi tuoi, soldi miei): «28.224 vite salvate. Sanità privata insieme alla sanità pubblica». Un morto su dieci al mondo, al mondo!, è in Lombardia e pure mi tocca guardare le pubblicità sui giornali pagate con il mio bollo del motorino. Sono sempre più basito e incazzato, va bene tutto ma essere prima bastonati e poi presi in giro no, no!
La pletora di individui o enti o chissà dio cosa che intervengono a casaccio nel dibattito pubblico e menano il can per l’aia: chi sostiene che la seconda ondata di contagio sia inevitabile, chi dice subito chi dice in autunno, e ovviamente non ci sono dati per dirlo ma l’acqua al mulino della riapertura rapida è portata (trad.: se ci sarà comunque, tanto vale lavorare finché si può)
Io no, non ho cantato [il 25 aprile]: io sono scappato. Lo ammetto, mi spiace davvero per chi non lo può fare, sono uscito e me ne sono andato a camminare per i campi. Senza incontrare nessuno, senza contagiare nessuno, senza parlare con nessuno, ho portato un fiorellino alla lapide di un partigiano non distante da casa, e poi ho camminato. Perché va bene non andare in piazza ma stare pure chiuso in casa anche il 25 aprile non ce l’ho fatta. Ho camminato, ho pensato, ho canticchiato, mi sono commosso, ho ricordato, ho celebrato, ho parlato e salutato chi non c’è più, ho ringraziato. Come sono certo hanno fatto molti come me.
Senza comunque mai cedere alla seriosità cui la cronaca politica ritiene di doversi attenere:
I democratici guadagano quasi mezzo punto, passando dal 22,5% della scorsa settimana all’attuale 22,9%. Non c’è che dire: prendi Zingaretti, chiudilo in casa con un virus brutto, riducilo al silenzio e il partito guadagna.
La Regione Lombardia ha (aveva, a questo punto) un piano pronto per affrontare un’ipotetica pandemia (…). Forse alla prossima stretta mi faccio trovare in Trentino.
Ho già detto che una cosa che mi scoccia parecchio è saltare il 25 aprile, di regola in corteo a Milano, come è d’uopo. Qualcuno propone di cantare «Bella ciao» dai balconi, qualcun altro non è d’accordo – e te pareva… – e opta per «Fischia il vento», perché se non si va divisi non ci si diverte. Non so come andrà, so che non sarò in piazza e non vedrò le persone come me, cosa che mi dà sempre una bella iniezione di fiducia. Poi, ieri sera, ho sentito parlare Caterina Avanza, una che si definisce «euroguerrigliera» e non eletta col PD alle elezioni europee, di «Partigiani 4.0» e mi è venuta ancor più voglia di piazza e di bandiere. Di Partigiani 1.0, che poi mi sono perso il due e il tre.
9.
La constatazione che progressivamente si impone, scorrendo queste pagine, è che in esse, grazie ad esse, la cronaca si fa Storia, una Storia fatta di storie, delle storie di chi non si sarebbe mai aspettato di vivere una vicenda simile, né di viverla come di fatto la sta vivendo:
A proposito del minidiario, non l’ho detto finora: più di quindici anni di blog in rete nei quali non solo non ho mai detto il mio nome ma nemmeno la città (le città) dove ho vissuto e vivo, le cose che faccio, insomma per farla breve ho parlato molto raramente di me e ora, in questa situazione imprevedibile, mi ritrovo a doverlo fare, anche se in misura minima, tutti i giorni. È curioso, è pur vero che ho scelto io di farlo e dedicarmici perché so che in futuro mi sarà utile aver raccolto le impressioni giorno per giorno, per capire come da un punto A (un tizio a Codogno ma poi scopriremo che non è così, che si deve retrodatare la cosa di parecchio) a un punto C (che ancora non conosciamo) attraverso parecchi punti B (la quarantena, la chiusura della Lombardia prima e del paese poi) che prima parevano inimmaginabili. Per esempio, sono certo che tra qualche anno non ricorderemo esattamente come si passò, nell’inverno 2020, da una situazione di normalità, o quasi, alla chiusura dei confini regionali e all’impossibilità di muoversi all’interno del paese, sarà un ricordo indistinto, non preciso. Per questo serve scrivere le cose giorno per giorno, anche frettolosamente come sto facendo qui io.
Come me alcune persone si sono poste la questione di come documentare questa pandemia: se per i dati dei contagiati ci sono i bollettini, se per la cronaca ci sono i giornali, se per i decreti ci sono gli atti del Governo, per raccontare cosa è successo, succede e succederà nelle vite comuni, tra la popolazione, servono altri modi. Scrivere, magari, riprendere, i modi sono molti, purché siano trasmissibili.
Ora – e mi si perdoni l’accostamento – ho compreso come avvengono le cose: si ritengono impossibili (ancora una ripetizione ma non trovo un termine analogo di pari forza per esprimere il concetto) fino a un certo punto e poi è troppo tardi. Ecco cos’è successo in Germania all’avvento del nazismo e in mille altre situazioni della storia umana, ecco perché le persone non scappano o si mettono al sicuro, ecco perché si sta lì immobili a osservare la catena degli eventi senza prendere alcuna decisione. Perché, semplicemente, non ci si crede.
10.
La Storia dunque, ma non la Fine della Storia: basta tenere aperti gli occhi, navigare nel mare dell’informazione ma con la bussola, sapendovi discernere quel che conta, non accumulando ma interpretando i fatti, e la Storia continua. E siamo noi, per quanto surclassati dalla cieca vita del SARS-CoV-2 – per gli amici, Coronavirus – a farla, o a opporvi resistenza (resistenza per favore, non “resilienza”…):
In Danimarca l’hanno fatto, un concerto con pubblico presente in modalità drive-in: (…) pare, dal palco, un concerto in una concessionaria dopo una catastrofe nucleare. Ma al di là delle impressioni, i problemi: E se, come sempre capita a un concerto, ho bevuto molta birra e devo andare a pisciare, ci vado a piedi o con l’auto? Perché non è mica semplice, vista la disposizione nella foto, sarebbe un bello sketch: scusate, scusate, devo andare in bagno, mentre prendo a sportellate tutte le auto tra me e il cesso. Una delle attività principali del periodo sono le videoconferenze. Io le odio, mi danno abbastanza fastidio e cerco di evitarle in ogni modo. Non capisco perché non bastino le audio – e sia necessario aggiungere il video-(…) Io, una volta, quando mi hanno chiamato per la videoconferenza ero al cassonetto.