Voltaire, Candido, o l’ottimismo, Blackie edizioni 2020 (pp. 221, euro 17,90)
Metti al posto dell’”armonia prestabilita” la crescita felice dei più incalliti credenti nella religione del Progresso e del PIL o, ancor meglio: le certezze dei sostenitori di una globalizzazione che se non sempre appare buona si rivelerà tale; al posto della convinzione che questo sia il migliore dei mondi possibili, il TINA (There Is No alternative), che sarebbe come dire la Thatcher al posto di Leibniz… O, anche, la pandemia da coronavirus del 2020 al posto del terremoto di Lisbona del 1755: le “pene d’inferno” di cui deve soffrire Pangloss, il filosofo ottimista, gli vengono da una graziosa cameriera che “doveva questo regalo a un cordigliere dottissimo che ne era risalito alla fonte: l’aveva preso da una vecchia contessa che, a sua volta, l’aveva ricevuto da un capitano di cavalleria che lo doveva a una marchesa che l’aveva avuto da un paggio che l’aveva preso da un gesuita il quale, durante il noviziato, l’aveva ricevuto da uno dei compagni di Cristoforo Colombo”: se non è tracciamento del contagio questo, con tanto di paziente zero… (se si sorvola sul fatto che si tratta di sifilide, nello specifico, non di Covid-19).
Il gioco dei rimandi e delle assonanze potrebbe continuare (gli esportatori di democrazia e i missionari gesuiti del Paraguay, tanto per dire): l’attualità del romanzo di Voltaire è il secondo motivo per rileggerlo. Il primo sono i sorrisi che la lettura suscita, facendo gustare un’ironia contro il Potere che resta acuminata, purissima, anche là dove appare venata di una volontà di denuncia che non ha purtroppo avuto la meglio sui suoi bersagli, dallo sfruttamento dei poveri del Sud del mondo a quello delle donne. Fino – per andare al cuore del discorso – alla polemica contro l’ottimismo, opzione di carattere metafisico a quel tempo; orizzonte tutto terreno ma in compenso obbligatorio nel mondo dei consumi e del godimento immediato di oggi, tant’è vero che mantiene il suo sapore la storiella dell’ottimista e del pessimista (“Questo è il migliore dei mondi possibili”, ripete sicuro il primo; “Ho paura che sia proprio così…”, commenta mesto il secondo).
Ma ci sono altre ragioni per riaprire il romanzo di Voltaire, e ce le indicano due note, una all’inizio e una a conclusione, che arricchiscono il testo (insieme alle spiritose illustrazioni di Quentin Blake). La prima è la prefazione che Italo Calvino aveva scritto nel 1974 per l’edizione del romanzo nella Bur, la biblioteca universale della Rizzoli: “oggi – vi si sostiene – non è il racconto filosofico che più ci incanta (…): è il ritmo”. Un ritmo fatto di “velocità e leggerezza”, spiega Calvino – e sembra anticipare le prime due delle sue Lezioni americane –, per cui Candido si configura come “un riassunto a rotta di collo”, in cui i disastri si succedono a grappolo come nel “cinema comico” e “i personaggi sembrano fatti di gomma”, escono di scena miseramente impiccati o sbudellati per poi tornarvi, e qui più che alle comiche siamo ai cartoni animati.
Non la velocità ma la pertinenza rispetto al mondo attuale appare la cifra caratterizzante il romanzo a Julian Barnes, autore della nota finale, con una precisazione sostanziale tuttavia: “è il modo in cui Voltaire espone le sue ragioni a renderlo vivo ancora oggi”, la fulmineità di certe sue asserzioni, come quella racchiusa nella “frase universalmente nota che sta a chiusura del romanzo – il faut cultiver notre jardin”. Universalmente nota ma spesso intesa “nel senso di guardare al proprio interesse”, stando a una lettura riduttiva, a un sostanziale fraintendimento anzi, che non avrebbe sorpreso il suo autore, uso a ben altri attacchi polemici. “Un’utopia”, in realtà – nota Calvino – in un libro “in cui il lavoro appare solo come dannazione e in cui i giardini vengono regolarmente devastati”, per cui, a ben guardare, ci si rende conto che “la voce della ragione nel Candido è tutta utopica”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.