Susan Sontag, Malattia come metafora e L’Aids e le sue metafore, Nottetempo 2020 (pp. 238, euro 18)
“Il mio intento è descrivere non ciò che realmente significa emigrare e vivere nel regno dei malati” – nei reparti di terapia intensiva, ci viene subito da pensare –, “ma le fantasie punitive o sentimentali elaborate attorno a questa situazione”: dove ho sbagliato, come ho fatto a prendere il virus anch’io? e adesso? cosa mi aspetta, qui, da solo?
È impossibile leggere il classico saggio di Sontag, più di quarant’anni dopo la sua pubblicazione e da poco riproposto, senza rapportarlo alla nostra esperienza e all’immaginario che il Covid 19 ha determinato. “La mia tesi – dichiara fin dalla prima pagina l’autrice – è che la malattia non è una metafora, e che il modo più veritiero di concepirla – nonché il modo più sano di essere malati – è quello che meglio riesce a purificarsi dal pensiero metaforico, e a opporvi resistenza”. E, vista la tendenza oggi dominante, a opporre resistenza alla psicologizzazione della malattia, tentativo contemporaneo di “fornire un controllo su esperienze ed eventi” del tutto o quasi refrattari alla nostra volontà.
La tubercolosi nel secolo scorso e il cancro oggi. Queste le due malattie sui cui in particolare il discorso verte, in quanto “sovraccaricate dalle bardature della metafora”, ma sono le note riservate alla seconda – di cui la stessa Sontag è stata vittima – a risuonare maggiormente in noi: “una malattia vissuta come un’invasione spietata e furtiva”, che sottopone i malati “a pratiche di decontaminazione” e fa percepire il contatto con loro una sorta di “trasgressione”, nella cerchia amicale ma anche all’interno del nucleo familiare, pur non trattandosi, nel caso del cancro, di una malattia contagiosa quanto piuttosto di un male (“un brutto male”, si diceva fino a qualche decennio fa) circondato da un alone metaforico difficile da smantellare. “Non c’è niente di vergognoso in un attacco di cuore”, mentre la “malattia oncologica” (questa l’espressione oggi usata in ambito medico-scientifico, ma che nessun malato né i suoi familiari usano…) “la si considera oscena – nell’accezione originaria del termine: nefasta, abominevole, ripugnate per i sensi”.
Manuali di medicina di ieri e di oggi, dizionari, opere letterarie: il libro è da leggere anche per i rimandi che l’autrice ha ritenuto necessari per argomentare la sua tesi e ricostruire i diversi percorsi dell’immaginario relativo alla tubercolosi e al cancro nelle loro relazioni con il corpo, il sesso, la morte.
Si direbbe che Sontag esplori i caratteri e l’evoluzione della percezione della tbc al fine di mettere in luce, per contrasto, quelli attinenti al modo di rapportarsi al cancro: nello stesso senso possiamo muoverci noi leggendo Malattia come metafora, non tanto cercandovi corrispondenze puntuali o conferme di una generica attualità, ma rintracciandovi stimoli a riflettere su quel che stiamo vivendo da un anno a questa parte. E lo stesso vale per l’altro saggio, contenuto in questa edizione, sull’Aids: anche la diffusione di questa infezione appare legata all’aumento degli scambi e dei contatti, ed ha evocato significati di punizione, o meglio, di responsabilità: individuale, legata ai comportamenti sessuali, nel caso dell’Aids; collettiva, derivante dall’indiscriminato sfruttamento del pianeta, per quanto riguarda il Covid 19.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.