Matsumoto Seichō, Un posto tranquillo, Adelphi 2020 (pp. 195, euro 18)
Una relazione extraconiugale che emerge dopo la morte improvvisa della moglie, la ricerca del marito e la sua vendetta (o quella che potrebbe apparire tale): tutto qui. Ma ci sono i personaggi, il protagonista soprattutto: Tsuneo Asai è un funzionario ministeriale come tanti, la cui vita coincide con il suo lavoro, le sue aspirazioni con la carriera, i suoi rapporti sociali con le conoscenze dell’ufficio. Apprensivo, ossessivamente dedito a perseguire il proprio obiettivo di avanzamento nella gerarchia delle sezioni e dei dipartimenti del ministero, potrebbe essere uscito dalla penna di Čechov, se in lui non si registrasse un’evoluzione che è poi il filo del racconto: lo vediamo dapprima come uno che “Aveva fatto la gavetta, costruendo la sua carriera passo dopo passo. E quando si era reso conto che contestare l’assurdità e l’ingiustizia del sistema non serviva a niente, aveva deciso di competere con i raccomandati”; lo seguiamo mentre si guadagna, grazie alla la sua preparazione, la fama di “Manuale vivente” o addirittura di “eminenza grigia” che conviene farsi amico; lo ritroviamo omicida non pentito ma incapace di spiegarsi il gesto che ha fatto: un po’ come il Meursault dello Straniero di Camus, “era stata una disattenzione, un errore”, “nel suo gesto non vi era stata premeditazione Si era trattato di pura casualità”…
Ma allora che cos’è accaduto? Dobbiamo considerare la sua evoluzione interiore, gli spostamenti progressivi dei suoi sentimenti: “In realtà Asai non era a tal punto innamorato di Eiko – la moglie – da non riuscire a riprendesi dopo la sua morte. Quello che provava era soprattutto una grande rabbia per essere stato tradito, e ora che sapeva che la freddezza con cui lei lo trattava era dovuta a quell’uomo, non aveva intenzione di fargliela passare liscia. (…) Asai non era mosso dalla smania di vendicare sua moglie, e il modo in cui era stata ingannata, bensì un suo personale desiderio di vendetta”, ma era anche “convinto di stare agendo così per riscattare sua moglie”. Questa capacità di analizzare nelle sue sfumature le motivazioni del personaggio, con una finezza che attinge a una sorta di empatia, non può non ricordarci Simenon, non fosse che la storia si svolge in Giappone, e a ricordacelo non sono solo i nomi delle persone e dei luoghi, ma anche riferimenti precisi (“il treno prese a salire. Sul lato sinistro il Monte Fuji sparì alla vista”) e atmosfere inconfondibili (“Di fronte a sé vedeva una montagna alta, di cui non conosceva il nome, dietro la quale il sole cominciava a tramontare colorandone la cima di rosso”).
Seichō, “il Simenon giapponese”, come la stessa nota dell’editore lo definisce, ci racconta una storia dove non ci sono investigatori di professione (a differenza che in altri romanzi, come Tokio express, Adelphi 2018) e la vendetta si costruisce silenziosamente ma metodicamente (come anche in La ragazza del Kyushu, Adelphi 2019), ma ad avvicinarlo al narratore francese è soprattutto la sensazione che il lettore ricava già dopo poche pagine, la sensazione piacevole e rassicurante di essere accompagnato passo passo dall’autore, come nei romanzi di Maigret: la narrazione è lenta, incline a progressive sintesi riassuntive, lontanissima da quel terrore di annoiare i lettore che rende spesso artificiosa nella sua frenesia e alla fine stucchevole la trama di per sé interessante di tanti romanzi – per non parlare di film e di serie – dei nostri giorni.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.