John Gardner, Il mestiere dello scrittore, Marietti 1820, 2021
“Leggere libri e riviste, prestando attenzione alla lingua”, ma al tempo stesso non leggere “alla maniera dello specialista della lingua, ma alla maniera di un romanziere”, che si chiede “che cosa avrebbe fatto lui nella stessa situazione e se il suo metodo sarebbe migliore o peggiore”, e dunque leggere “sia con dedizione, sperando di imparare da un maestro, che in modo critico, attento a ogni possibile errore”. Sottinteso appena accennato: scegliere che cosa leggere, evitando il peggio, ossia “la narrativa ‘di buon livello’ scadente”. Il libro “scritto bene” ma superfluo, quantomeno. Leggere sì, e molto, dunque, ma selezionando le proprie letture: il consiglio dovrebbe estendersi ai libri che parlano di scrittura, tanto numerosi ormai da occupare nelle librerie lo spazio un tempo riservato ai testi di critica letteraria – ha osservato Vanni Santoni in una recensione recente di questo libro. Ma come orientarsi? Anche in questo campo troviamo infatti proposte discutibili: perorazioni ed elogi dello scrivere come viene viene poi si vedrà; testimonianze entusiaste del valore terapeutico o liberatorio della scrittura, una risorsa che era già lì, da sempre a portata di mano; manuali fai da te che sommano consigli, prescrizioni, avvertenze senza curarsi della loro astrattezza o addirittura della loro contraddittorietà; saggi di spessore ma talmente legati alla cultura letteraria in cui sono nati da non parlare al di fuori di quella.
Tutto ciò per arrivare a dire che nel caso di Gardner non corriamo rischi del genere: è americano, senza però essere convinto che – dopo Hemingway, o Carver – ci sia un solo modo di scrivere; il suo libro risale all’inizio degli anni Ottanta, ma le sue osservazioni non sono datate, comprese quelle sulle scuole di scrittura, allora diffuse negli stati Uniti e pressoché sconosciute in Italia. Il fatto è che Gardner va dritto al cuore del problema, senza mai abbandonare il tono che lo contraddistingue, perentorio e amichevole, incoraggiante ma mai condiscendente. Ecco il punto, messo in luce proprio da Carver, che di Gardner fu allievo, nelle pagine opportunamente qui riportate: Gardner convince perché è magnanimo, il suo incoraggiamento a scrivere è “onesto”, mai adulatorio (o disinvoltamente irresponsabile, si potrebbe aggiungere): “Ciò che rende particolarmente bello questo libro è la qualità del suo incoraggiamento”. Ma attenzione: non si tratta semplicemente dell’accorgimento di un insegnante esperto, o della naturale conseguenza di un animo sensibile e attento agli altri. La serietà di Gardner, la sua affidabilità deriva da un paio di precise convinzioni, precise e sperimentate, perché lui non è solo un insegnante di scrittura creativa, ma è, e resta anche quando insegna, innanzitutto uno scrittore che non ha dimenticato la sua giovinezza, il periodo della sua prima formazione: “Secondo la mia esperienza…” è – come Carver fa notare – l’intercalare che percorre tutto il libro.
E dunque, prima convinzione: “fatta eccezione per certe questioni tecniche, le arti non si imparano, ma semplicemente ci si impratichisce in esse”. Che è come dire: ci sono alcune doti essenziali che definiscono lo scrittore. La “sensibilità verbale” in primo luogo, la ricerca della parola giusta non in nome dell’originalità, ma del “fascino” che di cui – per l’orecchio fine – sono circonfuse le parole. Il che non significa preoccuparsi soprattutto della “magnificenza del linguaggio”: il buon romanziere, “al contrario, si preoccupa di raccontare la trama in modo coinvolgente”, in modo tale cioè da rendere il lettore partecipe dello stesso “sogno vivido e ininterrotto” che ha alimentato la sua scrittura. Perché – sostiene l’autore in un passaggio che dà conto del suo franco realismo – “passare tutta la vita a scrivere romanzi è un’occupazione difficile da giustificare in ogni caso, ma passarla a scrivere romanzi che nessuno ha voglia di leggere è ancora più difficile.”
Essere consapevoli che non si scrive per sé non significa tuttavia che occorre “scrivere per ogni tipo di pubblico”, ricorrendo magari agli espedienti dell’“ottimismo spensierato” o, all’opposto, del “falso cinismo” impegnato a dire “le cose come stanno”, finendo poi nella maggior parte dei casi a produrre una prosa che “non proviene dalla vita, ma dalla vita filtrata attraverso la TV”.
C’è un’acquisizione da cui lo scrittore, in equilibrio fra l’ascolto di sé stesso e l’intento di essere ascoltato dagli altri, non può prescindere: “è la facoltà introspettiva – e non la mera conoscenza – avente come oggetto personalità palesemente diverse dalla nostra. (…) lo scrittore non deve solo essere capace di comprendere le persone diverse da lui, ma deve subirne il fascino”, grazie a “un’intuizione della singolarità dell’esistenza” e in forza di una “sufficiente fiducia nella positività della vita, tale da poter non solo tollerare ma anche celebrare un mondo di diversità, conflitti, contrasti”. La qualità di fondo dello scrittore lascia così trasparire il suo carattere esistenziale, e morale. È questa la seconda fondamentale convinzione. Si può scrivere per essere pubblicati ad ogni costo, e allora questo libro non serve, oppure perché si desidera pubblicare “un’opera di cui essere fieri – una narrativa seria, onesta, quel genere di romanzo che i lettori troveranno piacevole leggere e rileggere, il genere di narrativa che probabilmente rimarrà.” E il tratto distintivo della narrativa onesta, dei romanzi “autentici”, è la loro sostanza umana, etica, una sostanza che, lungi da ogni elitario solipsismo dell’autore, si rivela proprio nel desiderio di “convincere e di piacere”, nell’intento di dare “il senso del valore e della dignità della vita non solo al lettore ma anche allo scrittore”.
E così il cerchio si chiude, senza però annullare la differenza tra i due, fra il lettore e lo scrittore, il solo a rappresentare quel “determinato tipo di persona per il quale nulla è più gioioso e appagante della vita di un romanziere”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.