Andrea Bajani, L’amore viene prima, Feltrinelli 2022 (pp. 62, euro 10)
Si ha ancora in mente il bambino del Libro delle case (Feltrinelli 2021, in queste note nella primavera dello scorso anno), che trovava la sua compagna di giochi in una tartaruga, custode longeva della casa, quando Bajani ci fa incontrare un altro bambino, un neonato. Il suo bambino. Già nel romanzo si faceva notare una lingua e un periodare ricchi di suggestioni e sfumature, capaci di dire quello che solitamente, più della prosa, è la poesia a saper dire, ed ecco ora queste poesie che sanno raccontare, come le note di un diario: “l’unica cosa che sono riuscito a fare, in quel lasso di tempo [le settimane successive alla nascita del figlio], è stata aprire un quaderno e appuntare dei versi. Registravo accadimenti minimi (…) I fatti, quello che succedeva, in fondo, era tutto quello che avevo da dire”. Molto e poco al tempo stesso: questi “canti minuti raccontano ciò che non si riesce a spiegare forse perché è troppo complesso e al contempo troppo semplice: un neonato nel suo primo mese di vita”, ed è qui che viene in soccorso la poesia, appunto.
Perché “la poesia ha pinze speciali, sa prendere le cose minime per poi liberarle, farle volare per tutti”, senza disperdersi tuttavia, ma raccogliendosi attorno a un sentire profondo, sorpreso e sicuro insieme: un figlio “è l’unico essere umano che si è disposti ad amare (…) prima ancora di averlo incontrato”, che è come dire: “l’amore viene prima”. C’era già quando la madre esprimeva la sua meraviglia (“in così poco tempo (…) passare da non esistere a essere un bambino”) e il padre la seguiva in raffronti egualmente increduli: “eri enorme nella pancia – tua madre si muoveva con fatica – sei minuscolo qua fuori”, piccolo e in tutto dipendente dai genitori eppure già calato nel mondo e nelle sue regole: “Sei già alfanumerico ma ancora / analfabeta: come tanti, o come / tutti, esisti per il fisco, partecipi / del debito statale”.
La meraviglia deve però farsi routine quotidiana, e il passaggio richiede l’apprendimento di modi nuovi di fare quel che si faceva prima: “”Scrivo / senza taccuino, conto le sillabe / battendo le dita sopra il pannolino”. Ma anche con la lettura ha da subito a che fare, il figlio dello scrittore: “ti leggo qualche verso / sottratto allo scaffale. / In fondo vale tutto, ti piace la rima, il tema musicale, ignori la sintassi, (…) alla terza o quarta strofa ti rilassi (…)”. E come la poesia, così la musica pare avere effetti benefici (“come mai è proprio Schubert, / le sue note al piano, a distenderti / le gote e arrenderti la mano?”).
Non solo di precoci esperimenti culturali è però fatto l’accudimento del figlio. Occorre andar per uffici e supermercati (“Entro, esco / torno da te da padre vincitore, / fiero di carte e borse della spesa”), una fierezza che deve comunque fare i conti con la differenza: “È evidente, in certi frangenti, / che per te un padre è una madre / senza seno. Mi cerchi il capezzolo / dovunque (…) lo scoppio in pianto, conseguente, più che il disappunto è l’agnizione”.
Se il tempo dei genitori è ridotto a “noccioline”, di cui si sforzano di approfittare, quello del neonato corre: “(…) quello che ti dice è la lunghezza – presa a matita con procedura sartoriale”; “Oggi è arrivata anche la bilancia, / (…) La pesa, pare, conta non per ciò / che attesta ma come forma di presagio”. E insieme al corpo, più delle sue misure, sono i gesti, gli atteggiamenti a ricordare che il tempo sospeso del primo mese è già finito: “Si direbbe che sei diventato umano / in un momento. / (…) ti sei voltato quando mi hai sentito / accanto, hai guardato nello sguardo / di tuo padre, hai visto quel che c’era. / È così che è cominciata un’altra era”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.