Marco Denevi, Rosaura alle dieci, Sellerio 2022 (pp. 314, euro 10)
Camilo Canegato è un uomo comune, vicino alla mezza età, più restauratore di quadri che pittore, uno di quelli che ci si dimentica subito d’aver visto, e timido per giunta, patologicamente timido e introverso. Per un tipo del genere, il rapporto con gli altri ha sempre un che di traumatico, soprattutto se sono invadenti come la padrona della pensione presso la quale ha preso domicilio dopo la morte del padre. Doña Milagros è una di quelle persone che si sono convinte di conoscere il mondo, di sapere come vanno le cose, e perciò contano di capire fino in fondo ed essere legittimate a giudicare gli altri, ma non sono per questo appagate e autonome: degli altri hanno bisogno, come bestie affamate del cibo. E dunque, essendosi fatta un’idea di loro e dei loro problemi che non può che essere quella giusta, li perseguitano con i loro consigli, le loro critiche, i loro incoraggiamenti.
Il primo capitolo, nel quale la voce narrante è quella della signora Milagros, non è solo il più lungo, ma il più godibile fra i cinque che compongono il romanzo: la vita riservata di Camilo; lo sbocciare del suo amore, ricambiato, per la figlia del signore che gli ha commissionato il restauro del ritratto della moglie morta; lo sviluppo imprevedibile della relazione fino al suo drammatico epilogo scorrono nel discorso ininterrotto della logorroica signora per poi essere riproposti in quello egualmente sopra le righe di uno dei pensionanti, che infarcisce – lui, studente colto, e, non occorre dirlo, fine osservatore dei suoi simili – di citazioni, allusioni, interpretazioni spericolate. La lingua usata dai due – in quelle che sono deposizioni rese all’ispettore che indaga sull’assassinio di Rosaura, la giovane amata da Camilo, è del tutto diversa, ma la tonalità egocentrica e a tratti esaltata è la stessa. Un cambio deciso di registro si ha invece quando a prender la parola è il pittore stesso, che rivela senza esitazioni il suo segreto: Rosaura se l’è inventata lui, è il sogno di un uomo solo che sogna molto, fino a non distinguere le immagini da lui create sulla tela da quelle che gli giungono nel sonno, ed è la volontà di rompere l’indifferenza degli altri, delle altre soprattutto, nei suoi confronti ad averlo indotto a render di pubblico dominio la sua avventura. La gelosa e risentita signorina Eufrasia, un’altra ospite della pensione, introdurrà a sua volta una versione contorta di quanto è accaduto, su cui il frammento della lettera di una pseudo Rosaura sembrerà far luce, lasciando in realtà irrisolta la ricostruzione dei fatti, avviluppati come sono in una rete di pareri discordi e di bugie.
Un poliziesco che non si conclude: come non pensare al Pasticciaccio di Gadda? Anche il commissario Ingravallo, come l’ispettore Baigorri, si affanna in un’indagine che gli scappa dalle mani ad ogni passo… Tra l’avvocato Denevi – impiegato in una società d’assicurazioni, come Kafka – e l’ingegner Gadda ce ne corre, senza dubbio, ma anche all’argentino paiono attagliarsi le considerazioni che Calvino, nella sua “lezione” sulla Molteplicità riservava allo scrittore italiano, leggendo “il romanzo contemporaneo come (…) rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo”, e dunque rilevando come Carlo Emilio Gadda “cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi che concorrono a determinare ogni evento”. Per cui “Quello che doveva essere un romanzo poliziesco resta senza soluzione”. Che è poi qualcosa di non lontano da ciò che Alberto Manguel – anche lui di Buenos Aires, dove ha conosciuto l’autore – premette nella sua nota introduttiva: “Qualsiasi storia raccontata è la dimostrazione che nessuna storia può essere raccontata nella sua pienezza. Ogni narrazione implica la scelta di un punto di vista fra tanti possibili, e di una manciata di dettagli in mezzo a un’un’infinità di altri, di un tono e di uno stile adottati a preferenza di altri”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.