Caterina Bonvicini, Molto molto tanto bene, Einaudi 2024 (pp. 204, euro 18,50)
“Sei sempre spaesato in acque internazionali, in acque di nessuno, eppure su una barca che conosci sei casa tua… (..) Quello della Sar [operazioni di ricerca e soccorso] è un mondo piccolo, una specie di grande famiglia. bellissima o pessima, come tutte le famiglie”, e la barca è l’Endurance, una delle navi Ong che operano nel Mediterraneo. È passato un paio d’anni dalle prime prove a bordo delle navi umanitarie raccontate in Mediterraneo (in queste note alla fine di aprile 2022) con l’intento dichiarato di comunicare l’incomunicabile, il dolore e l’orrore che le immagini televisive di naufragi e salvataggi non sanno trasmettere.
In questo nuovo romanzo, la narrazione sembra concentrarsi sulla quotidianità, sulla convivenza di tipi umani diversi chiamati a formare un equipaggio che deve essere coeso ed efficiente nel rispetto dei ruoli assegnati e delle regole – a volte apparentemente impietose – che devono guidare le operazioni. La morte è sempre presente, ma ad evocarla, più della descrizione di episodi tragici, sono i termini che ricorrono nelle esercitazioni: “Annegamento, Compressione toracica. Ustioni da fuoco, Ustioni per la miscela di acqua di mare e benzina”, e ancora: “Ipotermia. Asfissia da esalazioni di carburante. Disidratazione, Infarto”. Sono molti i modi di morire, per i migranti che cercano di raggiungere l’Italia per mare. Ma insieme alla morte, è la vita a farsi valere assumendo a volte il sembiante di una bambina che – nella concitazione di un salvataggio difficile e più che mai rischioso, fra odore di carburante e di vomito – è “l’unica calma”: “Sorride tranquilla. Come una diva che sale su un motoscafo nella laguna di Venezia (…) si arrampica sulla scaletta con scioltezza, come su uno yacht di settanta metri, dopo il bagno in una baia”. È Aminata, detta Amy – come spiega la bambina stessa a Cate, la narratrice –, ivoriana, neanche sei anni, accompagnata dalla madre ventiduenne, Chantal. Ma è a Cate che la bambina subito si affeziona, ricambiata: “Quando ho qualche minuto passo a trovarla. (…) Mi salta in braccio e sento il suo cuore accelerare per l’emozione. (…) Cosa posso darle quando scenderemo dalla nave? Cosa si aspetta quella bambina da me?” Un numero di telefono, almeno, che contravvenendo alle regole Cate lascia alla piccola: è l’inizio di una vicenda che porterà Amy e sua madre a casa della narratrice e di suo marito, lei 46 anni, lui 73: mai pensato di avere figli, né di adottarne. Eppure… Troveranno il modo di fare arrivare da loro, in Italia – affrontando le complicazioni generate dalla pandemia oltre tutto –, anche il gemello della bambina. Sono le dinamiche di una famiglia allargata a tenere il campo nella seconda parte del romanzo, un solo mese, nel quale tuttavia si sviluppano affetti profondi, si evidenziano differenze fra fratello e sorella, ma soprattutto emerge la personalità tormentata della madre, una giovane donna segnata da una vita di sofferenze, dalla perdita del marito in Libia, da depressioni ricorrenti e da uno squilibrio di fondo che l’ha resa una bugiarda patologica, mossa da desideri ingovernabili e vaghi, come quello di andarsene in Germania, con i bambini, per seguire un uomo conosciuto appena arrivata in Italia, nel Centro di accoglienza dei richiedenti asilo. L’amore e l’aiuto concreto offerto dalla coppia che ha accolto lei e i suoi figli non è bastato.
Tre anni dopo, ritroviamo Cate di nuovo imbarcata, di nuovo a confronto con la vita sull’Endurance: nuovi incontri, nuove storie, ma in lei qualcosa è cambiato: “Comincio ad essere troppo vecchia per il Mediterraneo. È un mare attraversato da giovani. Anche i soccorritori sono giovani: sono circondata da ventenni”. Ma c’è dell’altro: “Forse non riesco più ad amare le persone che ho salvato”. Il suo sguardo non sa più passar sopra alle meschinità che vede, come l’odio che contrappone arabi e africani. Ma è il ricordo dei “suoi bambini”, di Amy e del gemello, che ha scavato dentro di lei un solco incolmabile: “non sono riuscita a salvarli dalla loro madre”, si rimprovera. Tanto più quando, tornata a casa, cercherà di seguire Chantal nelle sue peripezie – in parte vere, in gran parte frutto della sua immaginazione malata – attraverso l’Europa. Quell’Europa che la donna ivoriana e i suoi bambini avevano raggiunto per trovare una vita nuova e che invece si è rivelata teatro di nuove sofferenze, desideri irrealizzabili, speranze assurde…
Vite distrutte alla radice, le loro, che anche volendolo, non è possibile rimettere in carreggiata.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.