Francesca Santolini, Ecofascisti. Estrema destra e ambiente, Einaudi 2024 (pp. 106, euro 13)
Sembrerebbero parole d’ordine ecologiste, se non vi comparisse anche la difesa della “biodiversità dell’umanità”: abbandonato il negazionismo climatico, nel manifesto di un’organizzazione neonazista scandinava si giustappongono preoccupazioni ambientaliste con l’opposizione al mescolamento delle razze e il rifiuto dei migranti.
Si tratta solo di un esempio di un “populismo ambientale” in via di diffusione sia negli Stati Uniti che in Europa, dove non a caso è Marie Le Pen a sostenere che “sono le popolazioni unite da un’antica presenza sul territorio che possono rivendicare la complicità con la natura, che il nomadismo e le migrazioni di massa distruggono in maniera irreversibile”. Del resto, il fascismo nostrano “mischiava natura e cultura, razza e politica; il bel paesaggio era tale perché popolato da rurali italiani che lo avevano addomesticato”. Non si tratta allora di una giustapposizione: l’abbinamento fra la tutela dell’ambiente e quella della “purezza razziale” è il nodo di fondo dell’“ecofascismo”. In alternativa netta alla nozione di “giustizia climatica”, in cui allarme per il riscaldamento globale e appello alla giustizia sociale convergono indissolubilmente. Un fenomeno inedito? No. “La storia politica dell’ecologia non è sempre stata progressista e non nasce inequivocabilmente come un’azione benevola nei confronti del prossimo”. Di qui la necessità preliminare di ripercorre questa storia, a partire dall’affermazione ottocentesca del darwinismo sociale, ispiratore in Germania della teoria del popolo tedesco quale “razza eletta”, del nazionalismo bellicista e di un fanatismo identitario e misticheggiante che darà i suoi frutti nel secolo seguente (il nazionalsocialismo avrà un’“ala verde” e Hitler sarà vegetariano quanto Göring e Himmler animalisti). “Fin dai suoi inizi, dunque, l’ecologia è stata inserita (anche) in un quadro politico intensamente reazionario”, antimoderno, antiegualitario, che troverà sintesi nel motto nazista “sangue e suolo”, mentre oggi “i principi dell’ecoideologia new age si intrecciano con fascismi di varia risma in una sorta di dirottamento dell’ambientalismo per fini nazionalisti e sovranisti”.
Più infide le declinazioni del negazionismo che, ormai in via di allontanamento dalla sua forma letterale (‘non è vero’) o interpretativa (‘non è come sembra’) si orienta verso una forma implicita: ‘sì, la crisi del clima è una realtà, ma le sue conseguenze non sono poi così gravi, troveremo tecnologie atte a contenerle senza dover cambiare il nostro stile di vita’: il “tecno-ottimismo”, ad un’attenta analisi, rivela la sua tendenziale natura di “fascismo verde”, propenso com’è a raccordare la pur dichiarata attenzione ai problemi dell’ambiente con l’erezione di muri lungo i confini, annoverati fra i mezzi di protezione dell’ambiente stesso dal saccheggio di risorse di cui i migranti si renderebbero responsabili. Il carattere antiscientifico di prospettive simili, che invertono causa ed effetto, migrazione e inabitabilità di sempre più vaste aree, è del tutto evidente. Ma non per questo sono considerate improponibili dal Rassemblement National in Francia, dall’AfD in Germania, da Vox in Spagna, fautori di una visione secondo la quale “l’emergenza ambientale è un problema causato da ‘altri’ che ambiscono allo stesso stile di vita” del Nord del mondo, ritenuto intoccabile quanto innocuo. C’è del metodo nel fomentare l’ignoranza, o nel coltivare un’interessata rimozione, del nesso fra sistemi economici e crisi climatica, fra distribuzione del potere e geografie del degrado ambientale. Qualsiasi richiamo a questo nesso in relazione a provvedimenti conseguenti viene del resto etichettato dai leader delle destre “come ingerenza delle élite” negli interessi reali della gente comune, del ‘popolo’.
Nella sua rassegna delle declinazioni della “fascistizzazione dell’ecologia”, la cui incubazione non sarebbe possibile senza internet e i social media, l’autrice si sofferma sulla distorsione dell’insegnamento di Arne Næss, padre dell’ecologia profonda, fondatamente indisponibile ai compromessi del green washing: “i moderni ordinamenti democratici – secondo alcuni sostenitori di una svolta autoritaria dettata proprio dal disastro ambientale – sarebbero inadeguati ad affrontare le questioni sistemiche della crisi climatica, perché intrappolati in un funzionamento a breve termine”. L’urgenza climatica imporrebbe quindi limitazioni delle libertà individuali e restrizioni drastiche delle iniziative imprenditoriali, il tutto entro un mix di critica alla ideologia della crescita, alle ricadute della globalizzazione e al consumismo che, dati i suoi esiti reazionari, non può non risultare inquietante.
Venendo al nostro paese, le “battaglie di retroguardia in Europa sull’auto elettrica, sulla carne coltivata, sulla direttiva ‘case green’” induce a pensare che nella destra italiana continui ad essere privilegiata la forma più rudimentale del negazionismo, quella letterale. Il che non deve far pensare a un atteggiamento di pura opposizione: “il progetto energetico del governo di trasformare l’Italia in un hub del gas” dice di una strategia che nella sua propositività guarda di fatto al passato. Il che non implica che nella destra italiana manchino riferimenti a posizioni affermatesi in altri paesi, come dimostrano, da un lato, “l’esplicita investitura del territorio, della comunità locale, come luogo privilegiato della difesa dell’ambiente” e, dall’altro, l’interpretazione del Green Deal europeo come “un’indebita ingerenza”.
Occorre abbandonare, in conclusione, “la convinzione che l’ambientalismo progressista sia il titolare esclusivo dei temi ecologici”: opportunismo politico e manipolazione ideologica caratterizzano ormai un deciso interesse delle destre per la questione ecologica, strumentalizzata quale motivo di adesione alla proposta di uno “Stato forte che ha il compito di proteggere il suo ordine naturale dal degrado ambientale, dalla sovrappopolazione e dalla contaminazione etnica” veicolata da migranti paragonati a specie infestanti.
Quella con cui sempre più si avrà a che fare è un’“inedita alleanza verde e nera”, per cui, “in assenza di soluzioni concrete (…) le idee verdi corrono un nuovo pericolo: essere rubate, manipolate e poi ridipinte di nero”.
Questo testo compare anche nel sito della nuova libreria Rinascita di Brescia, alle cui attività culturali Carlo Simoni collabora.