La parete invisibile

Marlen Hauhofer, Noi e la morte di Stella, L’orma 2024 (pp. 96, euro 15)

È un lungo monologo, questo romanzo: quello che leggiamo è ciò che la protagonista ha sentito il bisogno di mettere sulla carta, scrivendo ininterrottamente per due giorni. La sua è l’espressione di un rovello sdegnato quanto autodenigratorio, in cui il senso di colpa per la propria oggettiva complicità percorre un resoconto spietato: qui non è la ragnatela delle meschinità dei personaggi di Simenon – cui pure l’ambientazione e diverse circostanze fanno pensare – a venire a galla, ma il tessuto cupo della tragedia vissuta da Anna, la moglie e madre di una famiglia percorsa dalle tensioni innescate dalla doppiezza di lui, Richard, il marito e padre, fedele alla famiglia – due figli, un maschio e una femmina – ma non alla consorte, appagato dal suo successo professionale e seduttore seriale.

Vincente lui, perdente lei, che per sua stessa ammissione non sa sottrarsi a una relazione che l’ha non solo sottomessa, ma corrotta.
Anna perde tutto: la confidenza del figlio, il conforto del suo giardino – pur sempre guardato solo attraverso il vetro della finestra, a una “giusta distanza” –, la speranza nel futuro: “Giungerà anche senza il mio intervento, sarà minaccioso e farà di noi quel che non avremmo mai voluto essere. Ogni minuto, ogni secondo ci trasforma e ci allontana da noi stessi”.

Dall’inizio alla fine, la vicenda narrata è accompagnata da quella – simbolicamente parallela – di un uccellino uscito prematuramente dal nido e appollaiatosi su un ramo del tiglio nel giardino. Il suo pigolio supplice distrae dalla scrittura la protagonista, ne affianca sempre più flebile e disperato lo svolgersi per concludersi infine come ci si poteva aspettare: “non è più su quel ramo. La madre non è venuta. Probabilmente la sua piccola carcassa giace tra i cespugli; tra qualche giorno sarà sparito dissolto, come non fosse mai esistito”. La pietas per la creatura richiama il sentimento che percorre il capolavoro di Haushofer, La parete (in queste note il 6 gennaio 2019). Ma forse non si tratta di un richiamo puramente analogico: l’immagine della parete è già evocata qui, nella “sensazione che in un battito di ciglia qualcosa mi possa saltare addosso sfondando la parete invisibile”, e ancora, alcune pagine dopo, “la sensazione che qualcosa di spaventoso fosse arrivato talmente vicino alla mia fragile parete di vetro da poterne sentire il fiato e il tanfo”. La parete che, in questo romanzo sembra proteggere la protagonista dalla miseria morale, si farà cinque anni dopo, nel’63, misterioso elemento di separazione da un mondo precipitato in una mortale immobilità.

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